Deserto d’inverno
di Leopoldo Feole
“Chiusura preventiva delle linee
ferroviarie a carattere locale già andate in sofferenza” in 12 delle 20 regioni,
compreso il Molise, dove solo la breve tratta adriatica è inserita in una
“linea principale”. Con algidi comunicati il Gruppo Ferrovie dello Stato ha
segnalato, sul sito telematico fsnews,
la sospensione dei servizi di trasporto “in coerenza con le indicazioni della
Protezione Civile”, per la “eccezionale ondata di maltempo”. A metà inverno,
quando nei Paesi a clima temperato come l’Italia, si verificano nevicate
abbondanti, con temperature rigide, questi elementi, che caratterizzano la
stagione, non dovrebbero sorprendere impreparata una società, che si vanta d’essere
tra le più evolute. Soprattutto se, com’è avvenuto, l’emergenza è prevista con
anticipo e annunciata con insistenza Sono pertanto sterili le polemiche. È più
utile riflettere sul dovere-necessità di correggere le deficienze, che hanno
segnato le risposte e che hanno oscurato la generosità d’un volontariato
silenzioso e anonimo, pilastro d’una Repubblica, incline ormai a colmare le sue
inadempienze con la sollecitudine dei cittadini. Intanto è costretta ad
annotare nei suoi diari oltre 50 vittime.
Nel Molise, con tracciati ferroviari
realizzati alla fine dell’Ottocento, che salgono su quote intorno agli 800 metri sul livello del
mare, è stata strana la sospensione del traffico ferroviario. Quando la
meteorologia era sui calendari di Frate Indovino, le vaporiere erano gli unici
mezzi di trasporto, che potevano sfidare il deserto d’inverno; restavano pertanto
isolati, per vari giorni, i tanti comuni non serviti dal treno. Negli Anni ’60
del secolo scorso le linee molisane, come tante altre del Bel Paese, furono
classificate tra i “rami secchi”: erano passive per il bilancio dello Stato e
fu allarme generale. Le forze sociali, con la volontà della coesione, che
emergeva nelle occasioni in cui gli interessi generali prevalevano su quelli
particolari, alzarono le loro bandiere a difesa del servizio pubblico e ne
evitarono lo smantellamento, altrove effettuato, perché sostennero che, durante
gli inverni freddi e nevosi, solo il treno garantiva i collegamenti all’interno
e con l’esterno della regione.
Quelle successive commisero
l’errore di non valorizzare le rotaie come infrastruttura primaria dello
sviluppo socio-economico; non pensarono di impegnarsi per trasformare le tratte
in segmenti di assi Adriatico-Tirreno, con realizzazione anche di tracciati
nuovi. Per il mito dell’auto, idee sterili per la Bari-Foggia -Bojano-Isernia-Roma
e nessuna per la
Salerno-Termoli -Pescara. In particolare venne meno il ruolo propulsore
di Campobasso, che preferì arroccarsi nella propria identità di capoluogo
regionale, spingendo Isernia, Termoli e Venafro a inseguire altri egocentrismi.
Quando è poi intervenuta la regionalizzazione del trasporto locale, che sul
piano della pura logica socio-economica sembra un freno alla libera
circolazione di persone e merci, le maggiori attenzioni per i servizi su gomma
hanno reso residuali quelli su rotaie. Le risorse pubbliche, occasionalmente disponibili,
sono state pertanto limitate agli interventi sui tracciati, per urgenze statiche
e tecnologiche.
I comunicati quindi del Gruppo
Ferrovie dello Stato, che fanno una distinzione netta tra linee “principali” e “locali”,
per differenziare quantità e qualità degli investimenti e che sono poi sorgente
dei disservizi e dei disagi sui treni regionali, con frequenza riferiti dalle
cronache, confermano l’esistenza d’un dualismo anomalo. In una Repubblica
democratica non sostanzia una disuguaglianza tra gli italiani, a seconda della
loro residenza? Non è in contrasto con la Costituzione , che
afferma il principio dell’uguaglianza? L’emergenza neve solleciterà pertanto le
forze sociali molisane ad avere attenzioni particolari per i trasporti
ferroviari, perché abbiano dignità funzionale? Quando la ferrovia diverrà l’infrastruttura
primaria d’un Molise con il diritto a orizzonti migliori?
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