Sono stati recentemente
pubblicati su riviste scientifiche internazionali i risultati di due studi
condotti presso la Fondazione Giovanni Paolo II.
Nel primo studio, coordinato da Gabriella
Macchia, dell’Unità di Radioterapia diretta da Alessio Morganti, è stato
testato un nuovo trattamento dei tumori inoperabili del collo dell’utero. La
cura di questi tumori è complessa dal momento che, dopo il trattamento, esiste
un alto rischio di ricaduta sia a livello dell’utero che dei linfonodi della
pelvi e dell’addome. Allo scopo di prevenire queste due cause di fallimento è
stato disegnato un nuovo tipo di radioterapia preoperatoria. La tecnica usata,
infatti, ha previsto sia un’irradiazione “allargata” a comprendere i linfonodi
addominali, sia un’irradiazione “intensificata” nella sede del tumore. Grazie
all’impiego di tecnologie avanzate, solo il 10% circa delle pazienti ha
presentato effetti collaterali consistenti. Ma il dato più interessante è stato
quello del controllo della malattia. Ancor prima dell’intervento, in oltre il
60% delle pazienti si è assistito alla completa scomparsa del tumore, con un
tasso di sopravvivenza dopo 3 anni superiore al 80%. “Sono risultati molto
incoraggianti” ha dichiarato la dottoressa Macchia, “ma la ricerca continua,
grazie all’introduzione delle nuove tecnologie di modulazione della
radioterapia, che dovrebbero consentire una ulteriore intensificazione della
terapia”. Un nuovo studio clinico è infatti in corso, ancora in collaborazione
con l’U.O. di Ginecologia Oncologica, allo scopo di valutare quali siano i limiti
consentiti oggi dalle nuove tecnologie in termini di radioterapia dei tumori
del collo dell’utero.
L’altro studio è stato invece
coordinato sempre nell’U.O. di Radioterapia dalla dottoressa Luciana Caravatta
ed ha riguardato i tumori del pancreas. Questi tumori sono di difficile
controllo, per la frequente diffusione della malattia nella rete di linfonodi
che circonda il pancreas e i grossi vasi addominali. Per controllare
definitivamente il tumore, quindi, occorre attaccare con le radiazioni le cellule
cancerose all’interno dei linfonodi. Il problema, tuttavia, è dato dal fatto
che è impossibile irradiare tutti i linfonodi in quella regione del corpo, per
il rischio di una tossicità intestinale troppo grave. Nella letteratura
scientifica mancano indicazioni chiare, e soprattutto basate su dati concreti,
su quali stazioni linfonodali debbano essere trattate. Proprio questo è stato
l’obiettivo dello questo studio, che ha comportato l’analisi di un’imponente
quantità di dati riguardanti circa 6000 pazienti. Con la collaborazione dei
colleghi dell’UO di Radiologia, è stata disegnata una mappa di tutte le
“probabili” sedi di metastasi nei linfonodi. Questa mappatura sarà utile per
tutti i centri di radioterapia che curano questo “difficile” tipo di cancro.
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