Necessaria una politica riformista per un modello di economia sostenibile in termini sociali ed ambientali
di Marco Boleo
da Fondazione Italiana Europa Popolare
"Nei momenti di crisi economica profonda, come è quello attuale, la consapevolezza della necessità della democrazia economica riemerge con forza. E’ indispensabile che intorno ad essa si susciti un serio approfondito ed articolato dibattito - per farne sistema anche in Italia". Come non dar ragione a Carlo Costalli che si esprimeva in questi termini nella sua relazione all’XI Congresso del Movimento Cristiano Lavoratori cinque anni fa. Bisogna tenere alto il dibattito.Di recente si è riacceso sul quotidiano Avvenire. Per favorire la democrazia economica oltre la partecipazione risultano necessari i principi di solidarietà, sussidiarietà, cardini dell'economia sociale di mercato, e quello di territorialità. Democrazia economica, infatti, vuol dire ad esempio, seguendo Enrico Grazzini, che i "common good" (beni comuni) dovrebbero essere gestiti dalle comunità interessate, ad ogni livello: locale, nazionale e globale; e che i cittadini dovrebbero avere la possibilità di poter controllare e cogestire con i loro stakeholder i servizi pubblici di cui sono utenti e dei quali come contribuenti, in un certo qual modo hanno anche la proprietà. Il bilancio partecipato dovrebbe diventare la norma per indirizzare le politiche di spesa a favore dei cittadini e per contribuire al buon funzionamento delle istituzioni pubbliche di cui abbiamo estremo bisogno. La competizione oggi passa inevitabilmente per l'efficienza della pubblica amministrazione ad ogni livello.Per far ripartire l'economia serve una forte spinta dal basso: vanno ricostruite le reti sociali per una maggiore coesione. Si ha bisogno di un riequilibrio dei rapporti tra Stato, economia e società civile, in grado di migliorare le performance del sistema Italia. Meno Stato, più società, più parti sociali più partecipazione: questa è la ricetta essenziale. Cioè, uno Stato che deve andare incontro ad una profonda razionalizzazione: partendo dal modo di gestire la cosa pubblica, passando per il modo di concepire le istituzioni, fino al numero delle istituzioni necessarie per intermediare i processi decisionali. Bisogna insomma risolvere l'equazione della economia sociale di mercato trovando un equilibrio tra le risposte alle seguenti tre domande: (I) quanto "sociale" è necessario?; (II) quanto "mercato" è lecito? e (III) quanta regolazione da parte del governo è indispensabile per rendere il sistema di successo?Nel dibattito in corso su come miscelare mercato, sociale e regolamentazione c'è una diversità di posizioni. Ci sono coloro che si spendono per un ruolo più o meno importante dello Stato; altri per più mercato o per più regolamentazione ed altri ancora per l'aumento della dimensione sociale da inserire in questa equazione. Sta di fatto che nel contesto globalizzato di oggi, è fondamentale identificare un equilibrio che incoraggi e richieda lo spirito imprenditoriale del mercato e che corregga i suoi fallimenti. E rifiutare, come ha scritto Mons. Mario Toso, economie sia a somma zero sia assistenzialistiche (...) che non valorizzano la libertà e la responsabilità delle persone, [e che trascurano] i valori della solidarietà e del bene comune, che a loro modo sono un prerequisito dell’efficienza economica. Si ha bisogno per questo di forze compensative, sotto forma di un forte e rinnovato movimento sindacale, di una società civile diversificata e sana e di partiti politici vigili, che tengano a freno i possibili abusi e lo sfruttamento delle pratiche capitaliste, garantendo un'equa redistribuzione dei benefici del mercato con appropriati programmi sociali. Risulta necessaria, insomma, una politica riformista che contribuisca a rendere più democratici i processi decisionali delle imprese ed a sviluppare un modello di economia sostenibile in termini sociali ed ambientali.
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