lunedì 10 novembre 2014

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO ALLA 67ª ASSEMBLEA GENERALE DELLA CEI

Campobasso, 10 novembre 2014


Cari Fratelli nell’episcopato,
con queste righe desidero esprimere la mia vicinanza a ciascuno di voi e alle Chiese in mezzo alle quali lo Spirito di Dio vi ha posto come Pastori. Questo stesso Spirito possa animare con la sua sapienza creativa l’Assemblea generale che state iniziando, dedicata specialmente alla vita e alla formazione permanente dei presbiteri.A tale proposito, il vostro convenire ad Assisi fa subito pensare al grande amore e alla venerazione che san Francesco nutriva per la Santa Madre Chiesa Gerarchica, e in particolare proprio per i sacerdoti, compresi quelli da lui riconosciuti come “pauperculos huius saeculi” (dal Testamento).Tra le principali responsabilità che il ministero episcopale vi affida c’è quella di confermare, sostenere e consolidare questi vostri primi collaboratori, attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge l’intero popolo di Dio. Quanti ne abbiamo conosciuti! Quanti con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione! Da quanti di loro abbiamo imparato e siamo stati plasmati!Nella memoria riconoscente del cuore ciascuno di noi ne conserva i nomi e i volti.
Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che “separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande” (L. Tolstoj). Liberi dalle cose e da se stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità; e che la gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta.
I sacerdoti santi sono peccatori perdonati e strumenti di perdono. La loro esistenza parla la lingua della pazienza e della perseveranza; non sono rimasti turisti dello spirito, eternamente indecisi e insoddisfatti, perché sanno di essere nelle mani di Uno che non vien meno alle promesse e la cui Provvidenza fa sì che nulla possa mai separarli da tale appartenenza. Questa consapevolezza cresce con la carità pastorale con cui circondano di attenzione e di tenerezza le persone loro affidate, fino a conoscerle una a una.
Sì, è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, “ponti” per l’incontro tra Dio e il mondo, sentinelle capaci di lascia intuire una ricchezza diversamente perduta.
Preti così non s’improvvisano: li forgia il prezioso lavoro formativo del Seminario e l’Ordinazione  li consacra per sempre uomini di Dio e servitori del suo popolo. Ma può accadere che il tempo intiepidisca la generosa dedizione degli inizi e, allora, è vano cucire toppe nuove su un vestito vecchio: l’identità del presbitero, proprio perché viene dall’alto, esige da lui un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo.
La formazione di cui parliamo è un’esperienza di discepolato permanente, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui. Perciò essa non ha un termine, perché i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo. Quindi, la formazione in quanto discepolato accompagna tutta la vita del ministro ordinato e riguarda integralmente la sua persona e il suo ministero. La formazione iniziale e quella permanente sono due momenti di una sola realtà: il cammino del discepolo presbitero, innamorato del suo Signore e costantemente alla sua sequela (cfr Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 3 ottobre 2014).
Del resto, fratelli, voi sapete che non servono preti clericali, il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione.
Solo chi tiene fisso lo sguardo in ciò che è davvero essenziale può rinnovare il proprio sì al dono ricevuto e, nelle diverse stagioni della vita, non smettere di fare dono di sé; solo chi si lascia conformare al Buon Pastore trova unità, pace e forza nell’obbedienza del servizio; solo chi respira nell’orizzonte della fraternità presbiterale esce dalla contraffazione di una coscienza che si pretende epicentro di tutto, unica misura del proprio sentire e delle proprie azioni.
Vi auguro giornate di ascolto e di confronto, che portino a tratteggiare nuovi itinerari di formazione permanente, capaci di coniugare la dimensione spirituale con quella culturale, la dimensione comunitaria con quella pastorale: sono questi i pilastri di vite formate secondo il Vangelo, custodite nella disciplina quotidiana, nell’orazione, nella custodia dei sensi, nella cura di sé, nella testimonianza umile e profetica; vite che restituiscono alla Chiesa la fiducia che essa per prima ha posto in loro.
Vi accompagno con la mia preghiera e la mia Benedizione,  che estendo, per intercessione della Vergine Maria, a tutti i sacerdoti della Chiesa in Italia e a quanti lavorano al servizio della loro formazione; e vi ringrazio per le vostre preghiere per me e per il mio ministero.

FRANCESCO

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