Riflessioni sull’atto fondativo del comune
di San Bartolomeo in Galdo (1331-1360)
Il licenziamento di “Giusta causa” tra storia
e attualità è il tema del convegno organizzato dall’assessorato regionale al
lavoro e delle politiche sociali guidato dall’Assessore Michele Petraroia che ha curato la ricerca sull’atto fondativo del Comune di San
Bartolomeo in Galdo del 1331- 1360 anticipando di 600 anni lo Statuto dei
diritti dei lavoratori. Il convegno di studio sul ruolo di due abati del
Molise, Nicola da Ferrazzano e Nicola da Cerce e dell’Abbazia di Santa Maria
del Gualdo fondata da San Giovanni Eremita
da Tufara (CB) che hanno elaborato l’art.69 di tale Statuto, si svolge oggi, venerdì 12 dicembre 2014 alla
ore 14,30 presso
Penso a
tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a
livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello
nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la
legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi
internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione
tutela il lavoratore.
Penso
anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico
tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro
beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che,
giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e
dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli
tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono
alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di
vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni
nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore
migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del
soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
(…)lancio
un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a tutti
coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle
istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non
rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle
sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e
della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di
Cristo12, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che
Egli stesso chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai
fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione
dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti
fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della
solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro
riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le
prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani”
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