Sulla torpediniera prestava servizio
il riccese Pellegrino Santopuoli detto Rinuccio
PIROSCAFO
CAMPOBASSO TORPEDINIERA PERSEO
A
settant’anni dalla tragedia
GIORGIO
IAMMARRONE E LUIGI RUSCITTO NEL SACRARIO DEI CADUTI DEL CASTELLO MONFORTE
di Gennaro Ciccaglione
Erano quasi le due del pomeriggio, quel 3 maggio 1943, quando il Comando
Superiore Operativo della Regia Marina, meglio noto come SUPERMARINA, impartì
da Roma l’ordine di partenza. E così iniziò la tragedia di due navi: la Regia Torpediniera PERSEO ed il
piroscafo CAMPOBASSO. Tragedia che si consumò
poche ore dopo. Le due navi erano
alla fonda nel piccolo porto di Pantelleria.
La PERSEO era una nave militare, una torpediniera, inquadrata nella X
Squadriglia Torpediniere di stanza a La Spezia, e ad essa era stata affidata la
scorta del piroscafo. Armata di tre cannoni da 100/47, otto mitragliere binate
calibro 13,2mm, due lanciabombe antisommergibili e quattro tubi lanciasiluri
singoli, laterali, da 450 mm ,
la PERSEO era in grado di raggiungere i 34 nodi di velocità ed era posta al
comando del Capitano di Corvetta Saverio Marotta con un equipaggio composto da
99 uomini. Quella sera, oltre all’equipaggio, aveva a bordo anche altri
cinquanta giovanissimi marinai italiani di leva destinati al Comando Marina di
Tunisi.
Il CAMPOBASSO era invece un vecchio e malandato piroscafo,
sovraccaricato da 10.000 tonnellate di armi, munizioni, esplosivi, carburante
e rifornimenti di ogni genere, con
l’equipaggio composto da 100 marinai del
naviglio mercantile, al comando del Capitano di Lungo Corso Stanislao Leoni, di
Trieste. Aveva a bordo anche ventotto soldati di artiglieria contraerea,
appartenenti alla 808^ Batteria del 500
Gruppo, facente capo al 2° Reggimento di stanza a Rodi Egeo, imbarcati per la
difesa della nave, e ben 70 marinai di
leva della Regia Marina Italiana da trasportare essi pure a Tunisi per
rinforzare la guarnigione di quella città che stava per cadere in mano degli
inglesi.
Questa carretta del mare era stata costruita nel lontano, anche
allora, 1918, nei cantieri della città inglese si Sunderland, nel nord est del
Regno Unito, ed era stato varato con il
nome di GRAGGAN HILL e successivamente ribattezzato WULSTY CASTLE. Era poi
stato ceduto ad armatori francesi che lo avevano chiamato BONIFACIO e con
questo nome, nei primi giorni di dicembre del 1942, era stato catturato dalla
marina militare tedesca nel porto di Marsiglia ed era divenuto così preda di
guerra. La Germania lo aveva consegnato all’Italia che lo aveva affidato alla
Società di Navigazione Adriatica la quale lo aveva ribattezzato CAMPOBASSO,
chissà perché, e dopo averlo alla meglio rimesso in grado di navigare, lo aveva
impiegato per il rifornimento della
cosiddetta Quarta Sponda, percorrendo la tristemente famosa “rotta della
morte”, quella che dai porti italiani riforniva la costa africana, funestata
dalle navi inglesi della Forza “K” di base a Malta.
Ma ritorniamo a Pantelleria: l’ordine, impartito via radio ed in
chiaro, aveva creato quanto meno apprensione, per non dire disappunto, negli ufficiali al comando della nave, apprensione
e disappunto che non erano sfuggiti all’intero equipaggio. Già intorno alle 16
le due unità si erano comunque avvicinate al piccolo porto siciliano per rifornirsi di acqua e
l’operazione era durata circa due ore. Intorno alle 19 la PERSEO aveva puntato
la prora su Tunisi, seguita a breve distanza dal pesante ed ansimante
piroscafo: il percorso era breve ma difficile, reso quanto mai pericoloso dai
campi minati e dalle improvvise incursioni nemiche. Anche per questo, prima della partenza, i
comandanti avevano fatto distribuire l’anice a tutti gli uomini imbarcati che
ne avevano riempito i contenitori metallici applicati ai salvagente
individuali: in caso di naufragio l’anice costituiva un eccezionale alimento di
conforto per la sopravvivenza in mare.
Dopo meno di un’ora di navigazione in mare aperto la presenza di echi
sospetti, captati dall’ecogoniometro, induce il Comandante Marotta ad ordinare
l’allerta: “AI POSTI DI COMBATTIMENTO”.
L’allarme rientra dopo circa venti minuti. Tra le due unità non si comunica per
radio per tema di intercettazione; la navigazione procede con una velocità di
circa otto nodi per via della lentezza del piroscafo; il contatto è a vista.
Alle 23.20 vengono avvistate luci in movimento sulla dritta di prora
della PERSEO. Viene di nuovo “battuto” l’ordine AI POSTI DI COMBATTIMENTO.
Intanto un’apparecchiatura elettronica tedesca, il cosiddetto METOX, individua
che un ricognitore inglese ha localizzato il convoglio. A questo punto il
Comandante Marotta lancia un messaggio radio a Supermarina, in chiaro, dal
testo quanto mai conciso: “sono stato localizzato”. Sembra un’invocazione di aiuto ma non lo è, anche
perché si sapeva sarebbe rimasta vana;
era infatti solo il segnale dell’imminente battaglia. Su un’altra frequenza ad
onde ultracorte, PERSEO impone al CAMPOBASSO la massima velocità. Il
comandante Leoni risponde che non può
raggiungere che i dieci nodi. Non passano che pochi minuti e gli inglesi
lanciano un bengala per illuminare la scena. Sono in tre, i caccia britannici NUBIAN, PALADIN e
PERTARD, ed aprono il fuoco con ben
sedici cannoni da 120mm contro le due navi italiane. Il CAMPOBASSO è colpito
per primo e prende fuoco. La PERSEO, come era stata sempre solito fare, inverte
la rotta e si lancia furibonda contro le tre unità inglesi che non cessano di
fare fuoco con i loro grossi cannoni a tiro rapido. La lotta è impari e
disperata. La voce degli ufficiali sovrasta macchine e cannoni…. PRONTI AL LANCIO… FUORI UNO…. FUORI DUE…. PERSEO lancia quattro
siluri! La notevole illuminazione del mare consente agli inglesi di individuare
le scie e quindi evitare le armi con
rapide manovre. Le prime bordate inglesi colpiscono anche la PERSEO. Un
ricognitore si abbassa sulla torpediniera
e la spezzona e la mitraglia. Intanto una cannonata colpisce il timone,
un’altra il pezzo numero due, poi subito
un’altra raggiunge la caldaia ed un’ulteriore salva colpisce la prora uccidendo
quasi tutti i cinquanta marinai trasportati che, non ancora avvezzi al fuoco,
vi si erano rifugiati in preda al
panico. Due cannoni sono ancora brandeggiabili, così come le mitragliere:
PERSEO è ormai immobilizzata ma continua a sparare contro le unità nemiche mentre CAMPOBASSO
continua a bruciare. Ancora qualche minuto e la PERSEO si inclina sul lato
destro. Il comandante Marotta ordina si
salvi chi puo’ mentre lui, con
alcuni ufficiali, si attarda a recuperare documenti segreti e cifrari per
distruggerli. Una ennesima cannonata raggiunge la plancia e porta via di netto
un braccio al comandante. Il guardiamarina Soldati gli lega un laccio al
moncherino per ridurre l’emorragia mentre la nave si inclina sempre più. Tutti
finiscono in acqua. Soldati raggiunge una scialuppa e vi trova il Comandante
Marotta ed il secondo ufficiale. Marotta si fa riportare sotto bordo e si
lancia sulla PERSEO scomparendo tra i flutti. Gli inglesi cessano il fuoco per
qualche minuto, si avvicinano a meno di trecento metri dal relitto galleggiante
della PERSEO ed infieriscono a cannonate fin quando un aereo lo sorvola a bassissima
quota e gli sgancia sopra due bombe che colpiscono la santabarbara:
un’esplosione immensa segna la sua fine. Poco distante il CAMPOBASSO brucia
ancora per poco ed alla fine esplode in modo apocalittico, con le sue diecimila
tonnellate di carico.
Pellegrino Santopuoli |
Manca ancora parecchio all’alba del 4 maggio ma la tragedia è ormai
compiuta: del CAMPOBASSO i sopravvissuti saranno appena 17, della PERSEO forse
48. Tra i Caduti della gloriosa torpediniera, il più giovane era Pellegrino
Santopuoli, detto Rinuccio, di Riccia: aveva compiuto diciotto anni solo l’8
gennaio precedente.
Circa trecento vite umane finite in fondo al mare nel breve volgere di
qualche ora, a sole 22
miglia da Kelibia, sulla costa tunisina.
Una storia dolorosa sulla quale, prima di divulgarla, insieme a due amici cari, il 1° Cappellano
Militare Capo monsignor Gabriele Teti ed il reporter Gino Calabrese, chi
scrive, è andato a meditare al Sacrario dei Caduti del Castello Monforte, davanti
ai loculi con le spoglie di due marinai, casualmente sfuggiti alla terribile
morte per mare e qui inumati: zio Giorgio, perché Giorgio IAMMARRONE è lo zio
di Gino, e Luigi RUSCITTO.
Siamo concordi nel ritenere che la scelta di servire
la Patria in marina è di per se una scelta eroica. Dopo un momento di
raccoglimento e preghiera abbiamo deciso insieme di condividere questa storia,
perché insieme abbiamo ritenuto che essa
meriti il ricordo dell’intera nostra città, esattamente settanta anni dopo il suo
doloroso epilogo.
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