Venafro Museo Nazionale di Castello Pandone
Castello Pandone come “museo di se stesso”
Il Castello domina Venafro, principale centro dell’alta Valle del Volturno per la posizione sulla biforcazione della via Latina verso la Campania e il Sannio, ed è a sua volta dominato dal monte Santa Croce, ove durante la guerra fra Sanniti e Romani (343 – 290 a.C.) fu costruita una fortificazione. Dopo il fiorente periodo romano, che vide Venafro dotarsi di acquedotto, anfiteatro, teatro, odeon, la città si contrasse intorno alla cattedrale. I Longobardi occuparono per esigenze difensive l’anfiteatro (il “Verlascio”), ma alla fine del X secolo eressero una fortificazione a nord della città, sui resti di precedenti strutture romane. Fu in questo contesto che prese forma il nucleo originario dell’attuale Castello Pandone, che divenne un nuovo punto di riferimento per lo sviluppo urbano medievale, la cui evoluzione determinò l’insolita posizione della cattedrale fuori dalle mura.
Il nucleo più antico del Castello, la torre longobarda, risale alla seconda metà del X secolo. Il complesso subì numerose trasformazioni nelle epoche successive, a partire da quella angioina, e particolarmente importanti furono gli interventi rinascimentali che ne determinarono la funzione di dimora della famiglia Pandone, che aveva ricevuto il feudo dai re aragonesi.
La decorazione con il ciclo dei cavalli di Enrico Pandone, per la sua unicità, offre un percorso interessante sotto diversi punti di vista. Per la tecnica esecutiva, trattandosi di intonaco a rilievo e affrescato; per la probabile provenienza della bottega incaricata dell’impresa dall’ambiente napoletano, caratterizzato da pittori iberico-fiamminghi – un cui riflesso è ravvisabile nel ciclo per l’insistenza decorativa e il retaggio “gotico” delle figure – e artisti romani e lombardi, dai quali potrebbe derivare la ricerca di effetti prospettici nella rappresentazione dei cavalli a dimensione naturale. Interessante è anche il significato culturale dell’originale “galleria” di ritratti equini, il cui solo possibile confronto è con la Sala dei Cavalli in Palazzo Tè a Mantova, affrescata per i Gonzaga da Giulio Romano poco dopo il ciclo venafrano. Enrico Pandone, noto allevatore di cavalli, potrebbe essere considerato il campione di quei nobili napoletani criticati dall’umanista Pietro Summonte per la poca attenzione all’arte, ciò per avere “atteso se non alle cose della guerra, alle giostre, ad fornimenti di cavalli, alle cacce”. Sarebbe errato tuttavia ignorare il presupposto culturale umanistico e cavalleresco che ispirò a Pandone questi “ritratti”, corredati dalle rispettive ed eleganti epigrafi. Lo si percepisce anche dagli strati di intonaco su cui lavorò la bottega, sui quali si vedono, oltre i disegni preparatori, schizzi di navi, caricature, conteggi, versi, proverbi a carattere morale e amoroso in italiano, spagnolo, latino. Questo era l’immaginario preferito di un uomo d’arme come Pandone, fino al suo tradimento dell’imperatore con il passaggio alla parte francese, decisione che gli costò la vita nel 1528. Successivamente i Lannoy decorarono il Castello, cercando di cancellare la memoria della decaduta famiglia: a loro spettò la commissione del fregio nel salone e in altri ambienti con scene di vita cittadina e di corte.
Il percorso museale
Il percorso museale ha inizio con le più antiche testimonianze pittoriche molisane, i frammenti di affresco del VII secolo da Santa Maria delle Monache di Isernia, e prosegue con opere medievali quali l’affresco con i Santi Bartolomeo e Michele dalla chiesa di San Michele di Roccaravindola e la scultura trecentesca della Madonna con Bambino da Santa Maria della Strada di Matrice.
Il polittico con scene della Passione di Cristo, realizzato in alabastro nel XV secolo da una bottega inglese di Nottingham, è indicativo di una committenza esigente, tutt’altro che estranea all’internazionalità del gusto, ruotante intorno alla chiesa dell’Annunziata di Venafro e all’importante Confraternita dei Flagellanti.
Opere prodotte a Napoli per il Molise o da artisti molisani formatisi a Napoli nel Sei e Settecento sono state poste ‘in dialogo’ nel percorso museale con dipinti provenienti da importanti musei statali: Museo Nazionale di Capodimonte e Museo Nazionale di San Martino, Napoli; Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, Roma; Palazzo Reale, Caserta.
Scaturisce un itinerario nella pittura centro-meridionale al cui interno è possibile notare la Madonna con Bambino e santi dalla Chiesa del Carmine di Venafro, che il raro pittore napoletano Simone Papa, allievo di Belisario Corenzio, firmò e datò 1612 influenzato dalla pittura tardo manierista e dal realismo caravaggesco. Raccoglie disegni e stampe appartenenti a famiglie di artisti provenienti dal centro molisano di Oratino – i Brunetti, i Falocco, seguaci di Francesco Solimena – la collezione di Giacomo e Nicola Giuliani, di cui viene esposta una selezione illustrante disegni di soggetti sacri decorazioni per edifici civili e arredi.
Spicca la qualità del San Sebastiano curato da Irene, proveniente dalla Chiesa Parrocchiale di Gildone, del caravaggesco Giuseppe Di Guido, in precedenza detto “Maestro di Fontanarosa”, che si esalta nel confronto con l’Andata al Calvario di Pacecco De Rosa, (Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli), in cui il realismo caravaggesco – che ispirò anche due suoi maestri, Massimo Stanzione e Filippo Vitale - si coniuga con il classicismo emiliano e romano. Di quest’ultima linea culturale De Rosa fu il più convinto seguace, essendosi accostato al bolognese Domenichino, attivo a Napoli fin dal 1631.
Per la pittura della fine del Seicento e del Settecento due artisti napoletani furono punto di riferimento per l’Italia e l’Europa. Uno è Luca Giordano, che, dopo l’iniziale influenza del naturalismo di Ribera, attraversò la penisola per studiare le opere di Pietro da Cortona, Tiziano, Veronese ed elaborò un proprio linguaggio pittorico vivace e rutilante, fluido fino quasi alla dissolvenza formale e luministica. All’ambito di questo maestro è attribuito Pan e la ninfa Siringa (Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli). L’altro è Francesco Solimena, che sviluppò uno stile tra il naturalismo e il barocco di Giovanni Lanfranco e Mattia Preti, concreto e definito come nella Madonna con Bambino della Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini di Roma, ove è quella saldezza formale ricorrente in pale d’altare e decorazioni scenografiche. Con i due citati protagonisti della scena pittorica si confrontarono inevitabilmente gli altri artisti, interpretandone le novità e diffondendole nei diversi territori. Per il Settecento spiccano per qualità a Venafro la Madonna con Bambino e san Nicola da Tolentino, dalla Chiesa di Sant’Agostino in Venafro, opera di Nicola Maria Rossi, molto influenzato da Solimena, oppure i Misteri del Rosario di un Seguace di Francesco De Mura, dalla Chiesa di Sant’Agostino in Venafro. A suggerire il gusto per la pittura di genere, che probabilmente caratterizzò le dimore della nobiltà napoletana in Molise, sono state esposte nature morte di Gaetano Cusati (Museo Nazionale di San Martino, Napoli), che contribuì a evolvere tali soggetti dal naturalismo al barocco, e Baldassarre De Caro (Palazzo Reale, Caserta), dai densi bagliori e ombre che riflettono l’influsso di Solimena.
Nascita di un Museo, al tempo delle crisi
di Gino Famiglietti
Direttore regionale per i beni culturali
e paesaggistici del Molise
di Gino Famiglietti
Direttore regionale per i beni culturali
e paesaggistici del Molise
A Venafro, “porta del Molise” nel punto di incontro con Lazio, Campania e Abruzzo, presentiamo al pubblico il Museo Nazionale di Castello Pandone, frutto del lavoro delle strutture territoriali del Ministero per i beni e le attività culturali.
Premessa la funzione di tutela svolta dal Museo per quei beni culturali mobili provenienti da chiese della regione, chiuse o poco sicure, si è voluto realizzare un allestimento in cui le opere provenienti dal territorio sono state unite ad altre di proprietà statale. L’obiettivo è quello di mettere in risalto la qualità delle testimonianze artistiche molisane muovendo dalla generale riconsiderazione del rapporto centro-periferia in una prospettiva storica di complementarietà. Napoli non sarebbe stata una fiorente capitale, se non avesse potuto contare, ad esempio, sulle produzioni e sul mercato della lana proveniente dal Regno di cui il Molise era parte. E’ quindi opportuno considerare per questa regione un viavai di pittori, scultori, architetti e un traffico di opere con forme e contenuti aggiornati; una circolazione stimolata da committenti consapevoli di consolidare il controllo del proprio potere attraverso imprese decorative e architettoniche di qualità e di sorprendente originalità, come nel caso appunto di Enrico Pandone per il Castello di Venafro, ma anche, ad esempio, in quelli dei di Capua per il disegno urbanistico di Riccia e per il Castello di Gambatesa.
In ragione dell’inscindibile rapporto fra tutela e valorizzazione, questo Museo intende far conoscere, soprattutto ai giovani, a partire da quelli di età scolare - avvalendosi a tal fine dell’apporto delle strutture della locale Università per l’assistenza didattica -, la valenza urbanistica, architettonica e decorativa del Castello Pandone – “museo di se stesso”-, le sculture, i dipinti, i disegni esposti nel percorso interno di visita, e i numerosi percorsi esterni che dal Castello si diramano all’intero territorio molisano, a partire da quello immediatamente limitrofo.
Infatti dalle postazioni panoramiche sulla sommità del Castello si apprezza il paesaggio dell’alta Valle del Volturno, che offre motivi di conoscenza, godimento ma anche spunti di riflessione. Si può infatti apprezzare l’armonia fra il monumento, la città e i rilievi montuosi che da secoli fanno loro da sfondo, ma constatare verso la valle e sui rilievi antistanti il disordine che ha contraddistinto il più recente sviluppo edilizio e industriale dell’area.
Questo Museo vuole essere un nuovo strumento per ricostruire fra i cittadini (in primis molisani) quel senso di identità, individuale e collettiva, che non può che essere nutrito dalla conoscenza della storia della propria città o paese, della propria regione e nazione. E’ un obiettivo che investe la dignità personale e quella dell’intera comunità di appartenenza perché utile a far crescere la sensibilità per il patrimonio culturale, che è di tutta la comunità, e a scongiurarne per il futuro i rischi di scempio: dagli impianti eolici che minacciano le aree archeologiche, le chiese medievali lungo i tratturi o le secolari produzioni agricole, ai lavori abusivi sui manufatti artistici, agli stravolgimenti dell’antica edilizia rurale e urbana, dei giardini pubblici e dei loro arredi, etc.
Quale sviluppo può esservi di una città, di un territorio se la sua storia viene cancellata? E’ una domanda che molti enti locali – fortunatamente non tutti – e imprese spregiudicate non si pongono. Se lo chiedono invece, sempre di più, molti cittadini e molte associazioni, e alcune di queste sono da tempo assai vicine agli Istituti del Ministero operanti in Molise nell’azione di tutela e valorizzazione.
In tempo di crisi, morale e di risorse, l’apertura di questo Museo Nazionale è frutto anche dell’azione di associazioni di volontariato che svolgono assistenza alle attività di accoglienza del pubblico del museo: per Castello Pandone è l’Associazione Nazionale Carabinieri – sezione di Venafro, mentre per il Castello di Gambatesa è l’AUSER Molise.
In tempo di crisi gli Istituti del Ministero sono stati attenti a utilizzare al meglio le risorse assegnate, per cui gli importanti lavori di restauro alla struttura e alle decorazioni del Castello Pandone, nonché tutti i lavori di allestimento del museo sono stati svolti e sono in corso di svolgimento (nuovo impianto illuminotecnico al primo piano) con i soli fondi programmati nel 2010 (€ 600.000). Ci si augura che questo investimento dello Stato sul territorio sia recepito dagli enti locali che dovranno attivare dinamiche virtuose per cooperare alla valorizzazione e attrarre turismo in Molise e non sciupare risorse in iniziative inadeguate o collocabili nelle categorie del bizzarro e del grottesco.
In tempo di crisi questa Amministrazione ha potuto contare sulla leale collaborazione dei soprintendenti e funzionari delle Soprintendenze Speciali di Napoli e Roma e della Soprintendenza di Caserta e Benevento, che ci hanno dato fiducia affidandoci per il percorso museale in Castello Pandone opere dei loro depositi da mettere in dialogo con quelle molisane. Una collaborazione fraterna e convinta da parte dei colleghi perché hanno colto il valore scientifico dell’iniziativa – che dobbiamo all’autorevole supporto di cui ci siamo avvalsi – e l’opportunità di valorizzare i depositi dei rispettivi musei per operazioni culturali a beneficio della collettività. Cooperazione che conferma come i musei siano “fonti di idee” piuttosto che “magazzini polverosi” come invece vorrebbe il luogo comune diffuso dai sostenitori di una visione affaristica del patrimonio culturale, capace di concepire mostre “usa e getta”.
Contributi tecnici sono pervenuti dall’Istituto Centrale di Patologia del Libro, dall’Istituto Superiore Centrale del Restauro, dalla Soprintendenza di Venezia e, per il progetto definitivo di allestimento, dalla Pinacoteca di Brera di Milano.
Il Personale delle Soprintendenze per i beni storici, artisti ed etnoantropologici e per i beni architettonici e paesaggistici del Molise, di ogni area e fascia, non solo ha svolto e svolge con abnegazione le rispettive mansioni nell’ambito delle attività del Museo e dei lavori affidati alle ditte specializzate, ma, a fronte della scarsità di organico, ha finora garantito e garantirà volontariamente l’apertura del museo.
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