Prendiamo spunto da una recentissima visita a quello che potremmo definire il mondo della terra di sotto. Il quale, permette alla città capoluogo della ventesima regione dello stivale di affiancarsi senza alcun timore ad altre realtà molto più blasonate della nostra.
Ebbene si Campobasso, o
Campi bassi, Campus Vassorum e in dialetto Campuasc’ cela sotto il manto stradale
veri e propri tesori. Testimonianze di un passato che affonda le radici nella
storia e nel tempo. Un mondo che, affascina, anzi affattura, come direbbero i
popolani veri e propri eredi di quello che è stata per secoli la città.
La
quale, preserva e conserva testimonianze importanti come: pezzi di mura
perimetrali di antichi bastioni, torrette di scolta, carceri, camminamenti
usati per rifugiarsi da eventuali attacchi del nemico e chiese dove il silenzio
e il misticismo non guastano, anzi favoriscono la meditazione e l’interesse clerical-culturale.
E proprio grazie alla visita ci è venuto
in mente un titolo per queste poche considerazioni basate non solo sulla
curiosità ma sull’affezione alla ex città giardino: Cosa si cela sotto
Campobasso di un tempo? Un viaggio che
molti farebbero bene a fare di persona anche se a causa distonie del sistema
non è possibile se non in parte. Una situazione che sotto certi aspetti ha del
grottesco e dell’assurdo perché, ancora una volta, dobbiamo costatare che le
iniziative che potrebbero attrarre turisti e risveglio economico tanto da rivitalizzare
la città che, causa l’inerzia e l’apatia, non diciamo di chi, anche se lo
sappiamo benissimo, fanno sprofondare Campobasso ancora di più nell'oblio e
nell'anonimato tanto da essere appellato "sonnacchioso". Un aggettivo
che, però, non ci sentiamo di avvallare perché Campobasso può offrire a chi
arriva anche da fuori regione uno spaccato di vita-storia. Di come la città è
abbandonata a stessa non c'è giorno che non se ne parli, specialmente se
oggetto del "chiacchiericcio" che finisce in cronaca, è il centro
storico di cui spesso abbiamo scritto.
Una parte nevralgica rivitalizzata
grazie al Prof. Roberto Colella e il tipografo Minichetti che hanno aperto le
porte di alcune “cantine” si fa per dire cantine, che nascondono veri e propri
tesori geologici, archeologici e architettonici, come l’antico accesso di un
convento benedettino del 1200 con un soffitto a volta a crociera che, nella
parte centrale, presenta una grata, molto probabilmente dava la luce al
romitorio che affacciava su qualche strada a noi sconosciuta e ancora da
scavare, oppure contrafforti che perimetrano il primo selciato della città il
cui signore era Cola Monforte, situato a molti metri sotto l’attuale calpestio;
scale e inizi di camminamenti che mettevano in connessione tutta una serie di luoghi
ancora celati.
Testimonianze che molti c'invidierebbero perché sono la personificazione
dell'animus dei “Campuascian” usiamo il vernacolo per rendere meglio l’dea. Luoghi
che, se potessero, in parte lo fanno grazie agli studiosi e ai cultori della
storia locale, racconterebbero quello che è stato il trascorso, tant'è che nel
corso della visita sono venute fuori curiosità e aneddoti legati anche al
secondo conflitto mondiale che cambio persino la toponomastica cittadina con
nomi di località come Hyde Park, Skart Street, Piccadilly, ecc… Storie che permettono
alle nebbie di diradarsi per rivitalizzare la campobassanità e le bellezze che
molti ignorano. Una riscoperta che si valorizza soprattutto quando si scende, nei
sotterranei, o vuttar in dialetto, bottai, dalle botti conservate in Italiano, dei
palazzi che sorgono lungo Via Orefici, via Cannavina, Largo San Leonardo, Via
Ziccardi, Via Sant'Antonio Abate, Porta San Paolo, Porta Mancina e zone
limitrofe senza contare la cinta muraria prospiciente i bastioni del castello
Monforte con le chiese di San Bartolomeo e di San Giorgio.
Un percorso che, si
dipana in tanti rivoli, come un torrente che svanisce nelle viscere della
terra. Una sorta di dedalo che porta a rivivere amori, disagio, soprusi,
povertà, laboriosità, violenza e mistero. Cose che, sono il fil-rouge di un cammino
che fa riscoprire la città vera e non quella posticcia, raffazzonata e
arruffona. Aggettivi azzardosi che però, nonostante tutto ci permettono di
scrivere il finale dell’articolo che, tra il romanzato e l’affettivo, è senza
alcun ombra di dubbio anacronistico per i tempi che corrono…o forse non lo è?
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