La metodica è ancora in fase sperimentale, ad oggi in Italia sono stati impiantati in tutto quattro pazienti con questa tecnologia di cui due presso il Dipartimento di Malattie Cardiovascolari della Fondazione, diretto dal dottor Carlo Maria De Filippo.
Lo scompenso cardiaco è una delle cause maggiori di
mortalità ed è responsabile del 10% di tutti i ricoveri ospedalieri. La
prognosi è infausta, infatti il 50% dei pazienti con questa diagnosi muore
entro 5 anni.
L’incidenza è in costante aumento sia per l’invecchiamento
della popolazione sia per il miglioramento delle cure mediche che prolungano il
decorso clinico. Ad esempio nella cardiomiopatia ischemica, nonostante le
tecniche di rivascolarizzazione (by pass aorto – coronarico, angioplastica percutanea)
nel 25-30% la malattia prosegue verso lo scompenso cardiaco.
In pochi Centri al mondo, tra cui la Fondazione “Giovanni
Paolo II” di Campobasso, è disponibile una nuova tecnica che potrebbe
migliorare non poco le condizioni dei pazienti con un’insufficienza cardiaca
grave, riducendo numero e durata dei ricoveri ospedalieri con un effetto
positivo sulla qualità di vita dei malati. Si chiama barostim o “attivazione
del baroriflesso” ed è già stata usata in pazienti con ipertensione resistente
ai farmaci.
Questa tecnica, finora utilizzata su poche decine di casi in
tutto il mondo, consiste nell’applicare uno stimolatore elettrico molto simile
a un pacemaker cardiaco in prossimità del barocettore carotideo, un
“interruttore” che regola l’attività del sistema simpatico e parasimpatico (o
vagale). Il sistema simpatico è il nostro “acceleratore”: aumenta la frequenza
cardiaca, la pressione arteriosa, la forza di contrazione del cuore ed è più
attivo durante le ore del giorno. L’attivazione del sistema vagale, più tipica
delle ore notturne, fa invece da freno e ha effetti diametralmente opposti.
Negli ipertesi resistenti ai farmaci e nei pazienti con scompenso cardiaco c’è
uno squilibrio fra sistema simpatico e attivazione vagale a favore del primo,
che di fatto è “sovraeccitato”. È come spingere l’acceleratore con un motore
imballato: c’è un’insufficienza cardiaca ma l’organismo chiede al cuore di
lavorare di più.
Ad oggi lo scompenso cardiaco si cura con farmaci che però hanno
un’efficacia limitata, sia per l’entità sia per la durata della risposta del
paziente. Da qui l’idea di posizionare uno stimolatore sul barocettore
carotideo: quando quest’ultimo viene attivato, infatti, riduce l’attività
simpatica aumentando quella vagale, riportando cioè equilibrio fra le due
componenti che vanno in senso opposto. L’effetto che osservato nei primi
pazienti è molto positivo, si mantiene stabile nel tempo, con una riduzione
consistente della necessità di ricoveri e un netto miglioramento della qualità
di vita. I candidati “giusti” sono malati con un’insufficienza cardiaca grave
ma non estrema.
Il rischio di effetti indesiderati è basso, se la tecnica è
eseguita correttamente. Peraltro l’attivazione del baroriflesso è già usata su
casi di ipertensione resistente ai farmaci, per cui si tratta di utilizzare
conoscenze già note su un’altra categoria di pazienti. Al momento per l’intervento servono circa 48
ore di ricovero, ma in futuro l’iter potrebbe diventare perfino più breve.
La metodica è ancora in fase sperimentale, ad oggi in Italia
sono stati impiantati in tutto quattro pazienti con questa tecnologia di cui
due presso il Dipartimento di Malattie Cardiovascolari della Fondazione
“Giovanni Paolo II” di Campobasso, diretto dal dottor Carlo Maria De Filippo.
L’innovazione tecnologica al servizio del paziente è uno
degli obbiettivi fondanti della Fondazione Giovanni Paolo II e dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore. Il paziente che ha il cuore gravemente malato trova
presso il Dipartimento di Malattie Cardiovascolari un approccio integrato che
mette ha disposizione del paziente tecnologie e terapie quali la stimolazione
carotidea e le cellule staminali autologhe, che sono presenti in pochi centri
al mondo. Nell’ambito della terapia dello scompenso il Dipartimento di Malattie
Cardiovascolari collabora con il “Polo Apparato Cardiovascolare e Torace” del
Policlinico “Gemelli, diretto dal Prof. Filippo
Crea e con Il Dipartimento di Malattie Cardiovascolari dell’Università degli
Studi di Padova diretto dal Prof. Gino Gerosa per le assistenze ventricolari e
per il trapianto cardiaco.
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