INCONTRO CON I GIORNALISTI E OPERATORI DELLA COMUNICAZIONE.
Foto del reporter Gino CALABRESE |
La comunicazione deve essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro. Nella parabola evangelica del buon Samaritano Francesco traccia le linee giuda di un cristianesimo concreto, mai teorico, vicino alla persona. “chi comunica si fa prossimo… comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio”. La comunicazione ha il potere di “farsi prossimità”. Nella post modernità l’induzione al consumo che trascina inevitabilmente verso la falsa cultura del consumismo è caratteristica di una comunicazione falsata dal potere dell’aggressività dell’egoismo.
IL ruolo del cristiano in questa rete che può diventare trappola, diviene fondamentale, come indispensabile è il compito che devono assumere i “comunicatori cristiani”. Occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli rinchiusi in noi stessi”. La sindrome di “hikikomori” trova una sua spaventosa diffusione anche per colpa di un utilizzo indiscriminato della rete. Il cristiano, anche nella rete, deve uscire, deve diramarsi: l’esortazione di Papa Francesco riprende il punto nodale del suo Magistero: “Tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima” e le strade, continua il papa, sono quelle del mondo ma anche le nuove vie digitali, affollate di umanità spesso ferita e sola. Un messaggio ricco di esortazioni, semplice nella struttura pastorale, con un costante riferimento evangelico al Buon Samaritano. IL Cristiano, ribadisce il Pontefice, ha una verità essenziale da comunicare, una verità che è bellezza e che non si avvale di artifici: il Cristo. Oggi il compito del cristiano nella comunicazione assurge ad una “sfida appassionante, che richiede energie fresche ed una immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio”. Una esortazione piena di significato che stimola la Chiesa e il Cristiano nel mondo ad essere testimone genuino di un messaggio universale, che va però posto attraverso tecniche e strumenti “belli”, non perché artificiali, ma perché frutto di una testimonianza “vera”. Il richiamo a Francesco di Assisi è di nuovo chiaro: sposare la semplicità, l’essenziale, in un mondo deturpato dall’artificio e dalla finzione, è la vera sfida per un mondo assuefatto al male e al falso. Sembra di tornare all’insegnamento platonico contenuto nel mito della caverna: l’intellettuale e il comunicatore cristiano, come l’uomo che si libera dalle catene, hanno il compito di portare tutti alla luce, con la grande difficoltà di chi cerca di rallentare un mondo che corre sempre più, spesso, per non pensare e per obliarsi nel “divertissement” teorizzato da Pascal. Avere il coraggio di fermarsi, di stare in silenzio, di rallentare è la vera sfida del terzo millennio, e Francesco, papa della semplicità, esorta tutto il popolo di Dio ad essere diverso in questa scelta di fondo nella società liquida.
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