Il gesuita Jorge Mario Bergoglio è Papa Francesco
Un silenzio umano ha avvolto la
cristianità in un tappeto di luci e di colori. Il candore dell’abito bianco del
Papa eletto, le sue braccia timidamente aperte al popolo, la commozione, Tanta!
Il Magnum gaudium nuntio vobis habemus
papam sorretto dall’Inno Nazionale d’Italia
suonato dalla fanfara dei Carabinieri, poi l’Inno Pontificio. «È il papa
della Mitezza –ha dichiarato a caldo mons. Bregantini, arcivescovo di
Campobasso-Bojano – il testimone della
Misericordia nelle vie del mondo. Il suo Buonasera ci ha subito ricordato il Buonanotte di
Benedetto XVI ed il Buonanotte nel “discorso alla luna” di papa Giovanni
XXIII».
In un contesto storico permeato
dalla violenza della ricchezza e dai soprusi della finta bellezza, un Papa
che sceglie il nome Francesco è il
segno chiaro e distinto che, nell’anno della Fede, indetto da Benedetto XVI
sotto il soffio dello Spirito, la Chiesa vuole e deve tornare alla povertà della kenosis di Cristo. I gravi , intesi
come pesanti, problemi che opprimono l’uomo non sono imputabili ad una crisi
economica, quanto ad una frattura
antropologica tra l’uomo e il suo creatore. La ricchezza, la vanità,
l’incoerenza, la corruzione, rappresentano forme di esasperazione a cui solo la
povertà della chiesa può rispondere. Nella storia della Chiesa non era mai
accaduto che un Papa decidesse di prendere su di sé il fardello e l’eredità lasciata dal poverello
di Assisi. Nel suo testamento la cura per il Creato, per i piccoli della Terra,
per ogni espressione di diversità, sia essa religiosa, etica o fisiologica e,
soprattutto, un vangelo “sine glossa”,
senza compromessi. Se questo nuovo Pontefice ha deciso di assumere il nome Francesco, tra le lacrime di commozione e di approvazione di un popolo di Dio che
anela alla semplicità evangelica è perché, senza dubbio, lo Spirito ha ispirato
in lui, fin dalla sua presentazione al conclave, il senso di un terzo millennio ubriaco di
ogni forma di ricchezza che troverà risposta solo nella capacità dell’uomo di
essere testimone di un ritorno ai valori evangelici, senza alcun compromesso.
Francesco I dovrà trovare sostegno in un popolo di Dio
che, come nel periodo in cui Francesco di Assisi visse, si trovava diviso nel
proprio interno, ebbro di lotte e di potere temporale. Nella stessa Chiesa,
divisa tra ricchezza e scandali, Francesco ebbe il coraggio di dare
testimonianza di un indirizzo radicale,
seppur aperto ad ogni possibilità di
dialogo nel mondo.
Ora resta la commozione e lo
stupore di un momento di gioia ma anche di così importante decisione. Lo
spirito che cinquanta anni fa soffiava impetuoso sui padri conciliari, ha oggi confermato la sua
presenza: perché la sposa di Cristo non sarà mai abbandonata alle brame del
tentatore.
Nella divisione l’unione, nella guerra
la pace: Francesco primo incarnerà e
assumerà in sé le ansie, ma anche le preghiere di un popolo di Dio che cerca
la luce in un periodo di oscurità.
Ora, dopo l’attesa la conferma: una
Chiesa che avrà una guida certa per rispondere alle provocazioni di una società
che ha dimenticato che la radice dell’esistenza è nella semplicità.
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