venerdì 4 gennaio 2013

MUSEO DI CAPODIMONTE QUADRO "CASACALENDA (CB) 1867"

Campobasso 4 gennaio 2013


CASACALENDA  nel 1867
IN UN QUADRO DELL’OTTOCENTO NAPOLETANO, AL MUSEO DI CAPODIMONTE (NA)














di Antonio Vincelli



Erano i primi anni sessanta quando, studente di ingegneria nell’Ateneo napoletano, tra un esame e l’altro, mi concessi una pausa culturale recandomi alla reggia di Capodimonte per vedere la grande collezione di quadri, monete e simili. Al 1° piano erano situati il Museo e la galleria dell’ottocento, al 2° la galleria nazionale.
Proprio al primo piano e precisamente nella sala n° 64 venni al cospetto di un dipinto che riproduceva uno scorcio a me molto familiare, corso Vittorio Emanuele III, la strada della mia infanzia, ove viene posta la cassa armonica nei giorni di festa, per ospitare complessi musicali o per premiare i vincitori del nostro “Giro del Cigno”.
Non credevo ai miei occhi, anzi pensavo ad una illusione ottica che ti fa intravedere ciò che invece porti dentro, nel cuore. E chi non si porta dentro il proprio paese quando ne è lontano? Mi viene in mente ciò che Cesare Pavese scrive in “La luna e i falò”: “... un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Più mi avvicinavo al quadro e più individuavo i particolari: a sinistra la fontana del Duca e la caratteristica balaustra in pietra a protezione del sagrato della chiesa dell’Addolorata, a destra l’ex Municipio e la torre Simonelli, sullo sfondo la chiesa del Carmine col campanile. Tutto era al posto giusto ad eccezione di alcuni cambiamenti apportati nel periodo successivo: la sostituzione della ringhiera metallica al balcone dell’ex Municipio con un manufatto in cemento (1895-97), la sopraelevazione della torre campanaria della chiesa del Carmine, quadrata e merlata e con l’orologio a quattro quadranti (1893-96) e l’abbattimento della chiesa stessa (1948), oltre ad una giustificata licenza poetica (anzi pittorica) che l’artista ha voluto concedersi inserendo in alto, a destra del campanile, il “Casino Di Blasio”, l’attuale “Villa Continelli”, ristrutturato ed adibito a ristorante. Una licenza in quanto, pur non essendo il fabbricato visibile dal punto di osservazione scelto, l’autore lo ha voluto inserire in segno di gratitudine verso il proprietario Scipione Di Blasio, all’epoca deputato e dal 1896 senatore del Regno, che l’aveva ospitato proprio in quella residenza.
Con sorpresa, però, sulla targhetta, accanto al nome dell’autore Marco De Gregorio, era riportato “Veduta di Portici”. Mi sono, come suol dirsi, cadute le braccia, ma, ostinato come un buon discendente sannita e per giunta Capricorno, non potevo sorvolare su un particolare tanto importante (almeno per noi di Casacalenda) e mi rivolsi al direttore del Museo al quale manifestai, non senza emozione, la mia sorpresa, alla quale si opponeva la sua fredda constatazione, non conoscendo né il mio paese né la veridicità o meno della dicitura sul quadro. Mi consigliò di relazionare su quanto gli avevo calorosamente esposto, allegando una foto del sito con la medesima prospettiva, onde poter mettere in moto la macchina burocratica per l’eventuale variazione. E così feci, senza avere, però, alcuna risposta.
Finiti gli studi, sono rientrato al mio paese, immergendomi in tanti problemi e perdendo di mira le sorti del quadro o meglio della sostituzione del nome “Portici” con “Casacalenda”, ma solo 25 anni dopo, nel 1987 ho casualmente notato, sull’ultima pagina di un quotidiano, che il quadro in questione era raffigurato sulla copertina del libro L’Italia raccontata, pagine scelte dal 1860 al 1922, a cura di Enrico Ghidetti, Albatros/Editori Riuniti, e, dopo essermi procurato il libro (in due volumi), scoprii che in seconda di copertina era riportato: Marco De Gregorio, Veduta di Casacalenda, Museo di Capodimonte, Napoli.
Naturalmente nel libro non viene minimamente menzionata Casacalenda.
Più volte ho chiesto ad amici di Napoli di recarsi a Capodimonte per accertarsi dell’avvenuta variazione, ma invano, essendo quell’ala del museo chiusa per lavori in corso. Ancora per caso l’estate 1997 sono venuto a conoscenza dell’annuncio riportato su un allegato del “Corriere della Sera” (con una foto del nostro quadro) della mostra di 120 “Capolavori dell’ottocento napoletano, dal Romanticismo al Verismo” allestita al Serrone della Villa Reale di Monza dal 5 maggio al 5 ottobre 1997. Lo stesso annuncio e con la stessa foto è apparsa sul n° 116 della rivista internazionale di architettura “l’Arca”. Dopo essermi procurato il catalogo della mostra ed essermi accertato che la didascalia era stata variata, onde evitare sorprese, l’11 settembre mi sono recato a Monza, in compagnia di mio figlio Giovanni, per godere di nuovo la vista di un tale capolavoro e riprovare quell’emozione di 35 anni prima! Il quadro faceva bella mostra di sé insieme ad altre 119 opere e, dopo averlo ammirato quasi incantato, ho costretto il direttore della mostra ad autorizzarmi a fotografarlo in sala.
Nel dicembre 2004 il quadro appare sulla copertina del libro: Giovanni Verga Dal tuo al mio di Rusconi Libri s.r.l. e nel settembre 2011 è su quella della pubblicazione curata dal Prof. Francesco D’Episcopo con testimonianze di tre scrittori molisani: Francesco Jovine, Lina Pietravalle e Giose Rimanelli per A. Guida Editore (NA).
Ed ecco la ricostruzione della errata dicitura. Marco De Gregorio era nato nel 1829 a Resina, antica denominazione di Ercolano (NA) ed era (è riportato nel catalogo) “l’animatore della scuola di Resina e il promotore di un movimento artistico assolutamente libero da ogni implicazione accademica ...” e secondo il giudizio di Francesco Netti : “La sua pittura è così: la realtà crudamente tradotta, senza grazie, ma fedele e sincera”. Il pittore ha soggiornato a Casacalenda verso il 1867, ospite della famiglia Di Blasio ed ha riportato su tela la strada del Borgo (così chiamata all’epoca), facendo dono alla famiglia che l’ospitava di un prototipo, di un primo studio, in bianco e nero e di dimensioni ridotte, di quello che sarebbe diventato il capolavoro. Il dono è ancora conservato nella Biblioteca annessa al Lascito Caradonio Di Blasio. Il pittore rientrò a Portici ove risiedeva e, probabilmente, lì completò il dipinto, senza apporvi alcuna indicazione, forse anche a causa della improvvisa ed immatura morte, avvenuta a Napoli nel 1876, a soli 47 anni.
Ancora dal catalogo si legge: “Il dipinto, entrato nel Museo di Capodimonte con la donazione A. Marino del 1957 come Strada di paese (così definita anche da R. Causa nel 1966), esposto alla mostra “De Nittis e i pittori della scuola di Resina” (1953) col titolo Veduta di Portici, oggi è designato Veduta di Casacalenda. Ed ancora “È qui rappresentato il corso principale di un tranquillo abitato di provincia visto nelle modeste architetture e nei pacifici atteggiamenti dei personaggi, quasi tutti in costume da contadini, che in qualche modo animano la scena. L’insolita organizzazione spaziale, più che descrivere una scena, rende una “situazione” caratteristica di un centro agricolo. Da notare il contrasto tra la decorativa balaustra marmorea - unico momento di vistosa eloquenza - e la rustica facciata priva di finestre che esprime una “realtà” molto semplificata, in linea con i programmi della scuola di Resina. La luce costante, esente da ogni emozionalità pittorica, attesta quanto De Gregorio rifiutasse ogni motivo di animazione episodica, mirando a eliminare ogni occasione di teatralità”
Fin qui il giudizio di Mariaserena Mormone, riportato sul catalogo della Mostra di Monza e al quale mi permetto di aggiungere che la balaustra marmorea e la rustica facciata priva di finestre alla quale è addossata la fontana del Duca (eloquenza e realtà) erano all’epoca e sono tuttora rispondenti al centimetro alla situazione raffigurata nell’opera.
Nella settimana del Natale 1997 è apparso in edicola il 13° fascicolo della pubblicazione “Pittori & Pittura dell’Ottocento Italiano” della De Agostini che illustra “La Scuola di Resina” riportando in prima pagina la seguente affermazione: Una nuova interpretazione del paesaggio nel segno di un Realismo solare e genuino. La semplice vita agreste e urbana, all’ombra del Vesuvio e nell’ampio Tavoliere delle Puglie. I quattro ‘fondatori’: De Gregorio, Cecioni, De Nittis e Rossano”. Non poteva mancare il capolavoro di cui ci stiamo occupando (in alto nella pag. 148, cm 11,5x14,5) ed inoltre è detto:
Le caratteristiche e lo spirito della Scuola di Resina emergono appieno in alcuni quadri esemplari, tutti eseguiti negli anni centrali del movimento, nel periodo di maggiore affiatamento dei suoi componenti. Comuni a queste opere sono la visione ferma, estremamente nitida dell’immagine, la resa precisa di ogni particolare fin sulla linea d’orizzonte - il che conferisce lo stesso valore, disegnativo e cromatico, a tutti gli elementi - e la spazialità ampia e articolata. La luce limpida e tersa crea un’atmosfera di atemporalità e di sospensione. Nella Veduta di Casacalenda De Gregorio si confronta con ......... avendo come obiettivo la rappresentazione spaziale di una piccola realtà urbana, vivacizzata dalla presenza di alcuni animali e da una popolazione varia e mescolata. Questo dipinto, arioso e solare, esprime particolarmente bene l’atmosfera schietta e genuina che caratterizza la Scuola di Resina, da non confondere però con primitivismo o tendenza naif”.
A conclusione di queste note, aggiungo solo che Marco De Gregorio ha realizzato, nella sua breve esistenza, diversi capolavori, oltre a Veduta di Casacalenda, 1867 ca., olio su tela, 67x84, di cui finora si è parlato e precisamente: Paesaggio di Avellino,1864, olio su tela, 81x119,5; Veduta di Porta Grande dall’interno del parco di Capodimonte, 1867 ca., olio su tela, 57x91; Zappatore, 1873, olio su tavola, 19x14; Anacapri, 1874 ca., olio su tela, 55x78 ed ancora Contadino di Somma, Favorita a Portici,  Strada di Resina, ecc. 


Nessun commento:

Posta un commento