CASACALENDA nel 1867
IN UN QUADRO DELL’OTTOCENTO
NAPOLETANO, AL MUSEO DI CAPODIMONTE (NA)
di Antonio Vincelli
Erano i primi anni sessanta quando, studente di ingegneria nell’Ateneo napoletano, tra un esame e l’altro, mi concessi una pausa culturale recandomi alla reggia di Capodimonte per vedere la grande collezione di quadri, monete e simili. Al 1° piano erano situati il Museo e la galleria dell’ottocento, al 2° la galleria nazionale.
Proprio al primo piano e precisamente nella sala n° 64 venni al cospetto di un dipinto che riproduceva uno scorcio a me molto familiare, corso Vittorio Emanuele III, la strada della mia infanzia, ove viene posta la cassa armonica nei giorni di festa, per ospitare complessi musicali o per premiare i vincitori del nostro “Giro del Cigno”.
Non credevo ai miei occhi, anzi pensavo ad
una illusione ottica che ti fa intravedere ciò che invece porti dentro, nel
cuore. E chi non si porta dentro il proprio paese quando ne è lontano? Mi viene
in mente ciò che Cesare Pavese scrive in “La luna e i falò”: “... un paese vuol dire non essere soli,
sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che
anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Più mi avvicinavo al quadro e più individuavo
i particolari: a sinistra la fontana del Duca e la caratteristica balaustra in
pietra a protezione del sagrato della chiesa dell’Addolorata, a destra l’ex
Municipio e la torre Simonelli, sullo sfondo la chiesa del Carmine col
campanile. Tutto era al posto giusto ad eccezione di alcuni cambiamenti apportati
nel periodo successivo: la sostituzione della ringhiera metallica al balcone
dell’ex Municipio con un manufatto in cemento (1895-97), la sopraelevazione
della torre campanaria della chiesa del Carmine, quadrata e merlata e con
l’orologio a quattro quadranti (1893-96) e l’abbattimento della chiesa stessa
(1948), oltre ad una giustificata licenza poetica (anzi pittorica) che
l’artista ha voluto concedersi inserendo in alto, a destra del campanile, il
“Casino Di Blasio”, l’attuale “Villa Continelli”, ristrutturato ed adibito a
ristorante. Una licenza in quanto, pur non essendo il fabbricato visibile dal
punto di osservazione scelto, l’autore lo ha voluto inserire in segno di
gratitudine verso il proprietario Scipione Di Blasio, all’epoca deputato e dal
1896 senatore del Regno, che l’aveva ospitato proprio in quella residenza.
Con sorpresa, però, sulla targhetta, accanto
al nome dell’autore Marco De Gregorio,
era riportato “Veduta di Portici”. Mi
sono, come suol dirsi, cadute le braccia, ma, ostinato come un buon discendente
sannita e per giunta Capricorno, non potevo sorvolare su un particolare tanto
importante (almeno per noi di Casacalenda) e mi rivolsi al direttore del Museo
al quale manifestai, non senza emozione, la mia sorpresa, alla quale si
opponeva la sua fredda constatazione, non conoscendo né il mio paese né la
veridicità o meno della dicitura sul quadro. Mi consigliò di relazionare su
quanto gli avevo calorosamente esposto, allegando una foto del sito con la
medesima prospettiva, onde poter mettere in moto la macchina burocratica per
l’eventuale variazione. E così feci, senza avere, però, alcuna risposta.
Finiti gli studi, sono rientrato al mio
paese, immergendomi in tanti problemi e perdendo di mira le sorti del quadro o
meglio della sostituzione del nome “Portici” con “Casacalenda”, ma solo 25 anni
dopo, nel 1987 ho casualmente notato, sull’ultima pagina di un quotidiano, che
il quadro in questione era raffigurato sulla copertina del libro L’Italia raccontata, pagine scelte dal 1860
al 1922, a cura di Enrico Ghidetti, Albatros/Editori Riuniti, e, dopo
essermi procurato il libro (in due volumi), scoprii che in seconda di copertina
era riportato: Marco De Gregorio,
Veduta di Casacalenda, Museo di
Capodimonte, Napoli.
Naturalmente nel libro non viene minimamente
menzionata Casacalenda.
Più volte ho chiesto ad amici di Napoli di
recarsi a Capodimonte per accertarsi dell’avvenuta variazione, ma invano,
essendo quell’ala del museo chiusa per lavori in corso. Ancora per caso l’estate
1997 sono venuto a conoscenza dell’annuncio riportato su un allegato del
“Corriere della Sera” (con una foto del nostro quadro) della mostra di 120
“Capolavori dell’ottocento napoletano, dal Romanticismo al Verismo” allestita
al Serrone della Villa Reale di Monza dal 5 maggio al 5 ottobre 1997 . Lo stesso
annuncio e con la stessa foto è apparsa sul n° 116 della rivista internazionale
di architettura “l’Arca”. Dopo essermi procurato il catalogo della mostra ed
essermi accertato che la didascalia era stata variata, onde evitare sorprese,
l’11 settembre mi sono recato a Monza, in compagnia di mio figlio Giovanni, per
godere di nuovo la vista di un tale capolavoro e riprovare quell’emozione di 35
anni prima! Il quadro faceva bella mostra di sé insieme ad altre 119 opere e,
dopo averlo ammirato quasi incantato, ho costretto il direttore della mostra ad
autorizzarmi a fotografarlo in sala.
Nel dicembre 2004 il quadro appare sulla
copertina del libro: Giovanni Verga Dal
tuo al mio di Rusconi Libri s.r.l. e nel settembre 2011 è su quella della
pubblicazione curata dal Prof. Francesco D’Episcopo con testimonianze di tre
scrittori molisani: Francesco Jovine,
Lina Pietravalle e Giose Rimanelli per A. Guida Editore (NA).
Ed ecco la ricostruzione della errata
dicitura. Marco De Gregorio era nato nel 1829 a Resina, antica denominazione di
Ercolano (NA) ed era (è riportato nel catalogo) “l’animatore della scuola di Resina e il promotore di un movimento
artistico assolutamente libero da ogni implicazione accademica ...” e
secondo il giudizio di Francesco Netti :
“La sua pittura è così: la realtà crudamente tradotta, senza grazie, ma fedele
e sincera”. Il pittore ha soggiornato a Casacalenda verso il 1867, ospite
della famiglia Di Blasio ed ha riportato su tela la strada del Borgo (così
chiamata all’epoca), facendo dono alla famiglia che l’ospitava di un prototipo,
di un primo studio, in bianco e nero e di dimensioni ridotte, di quello che
sarebbe diventato il capolavoro. Il dono è ancora conservato nella Biblioteca
annessa al Lascito Caradonio Di Blasio. Il pittore rientrò a Portici ove
risiedeva e, probabilmente, lì completò il dipinto, senza apporvi alcuna
indicazione, forse anche a causa della improvvisa ed immatura morte, avvenuta a
Napoli nel 1876, a soli 47 anni.
Ancora dal catalogo si legge: “Il dipinto, entrato nel Museo di
Capodimonte con la donazione A. Marino del 1957 come Strada di paese (così definita anche da R. Causa nel 1966),
esposto alla mostra “De Nittis e i pittori della scuola di Resina” (1953) col
titolo Veduta di Portici, oggi è designato
Veduta di Casacalenda”. Ed ancora
“È qui rappresentato il corso principale
di un tranquillo abitato di provincia visto nelle modeste architetture e nei
pacifici atteggiamenti dei personaggi, quasi tutti in costume da contadini, che
in qualche modo animano la scena. L’insolita organizzazione spaziale, più che
descrivere una scena, rende una “situazione” caratteristica di un centro
agricolo. Da notare il contrasto tra la decorativa balaustra marmorea - unico
momento di vistosa eloquenza - e la rustica facciata priva di finestre che
esprime una “realtà” molto semplificata, in linea con i programmi della scuola
di Resina. La luce costante, esente da ogni emozionalità pittorica, attesta
quanto De Gregorio rifiutasse ogni motivo di animazione episodica, mirando a
eliminare ogni occasione di teatralità”
Fin qui il giudizio di Mariaserena Mormone,
riportato sul catalogo della Mostra di Monza e al quale mi permetto di
aggiungere che la balaustra marmorea e la
rustica facciata priva di finestre alla quale è addossata la fontana del
Duca (eloquenza e realtà) erano
all’epoca e sono tuttora rispondenti al centimetro alla situazione raffigurata
nell’opera.
Nella settimana del Natale 1997 è apparso in
edicola il 13° fascicolo della pubblicazione “Pittori & Pittura
dell’Ottocento Italiano” della De Agostini che illustra “La Scuola di Resina” riportando in prima pagina la seguente
affermazione: Una nuova interpretazione
del paesaggio nel segno di un Realismo solare e genuino. La semplice vita
agreste e urbana, all’ombra del Vesuvio e nell’ampio Tavoliere delle Puglie. I
quattro ‘fondatori’: De Gregorio, Cecioni, De Nittis e Rossano”. Non poteva
mancare il capolavoro di cui ci stiamo occupando (in alto nella pag. 148, cm
11,5x14,5) ed inoltre è detto:
“Le
caratteristiche e lo spirito della Scuola di Resina emergono appieno in alcuni
quadri esemplari, tutti eseguiti negli anni centrali del movimento, nel periodo
di maggiore affiatamento dei suoi componenti. Comuni a queste opere sono la
visione ferma, estremamente nitida dell’immagine, la resa precisa di ogni
particolare fin sulla linea d’orizzonte - il che conferisce lo stesso valore,
disegnativo e cromatico, a tutti gli elementi - e la spazialità ampia e
articolata. La luce limpida e tersa crea un’atmosfera di atemporalità e di
sospensione. Nella Veduta di
Casacalenda De Gregorio si confronta
con ......... avendo come obiettivo la rappresentazione spaziale di una piccola
realtà urbana, vivacizzata dalla presenza di alcuni animali e da una
popolazione varia e mescolata. Questo dipinto, arioso e solare, esprime
particolarmente bene l’atmosfera schietta e genuina che caratterizza la Scuola
di Resina, da non confondere però con primitivismo o tendenza naif”.
A conclusione di queste note, aggiungo solo
che Marco De Gregorio ha realizzato, nella sua breve esistenza, diversi
capolavori, oltre a Veduta di Casacalenda,
1867 ca., olio su tela, 67x84, di cui finora si è parlato e precisamente: Paesaggio di Avellino,1864, olio su
tela, 81x119,5; Veduta di Porta Grande
dall’interno del parco di Capodimonte, 1867 ca., olio su tela, 57x91; Zappatore, 1873, olio su tavola, 19x14; Anacapri, 1874 ca., olio su tela, 55x78
ed ancora Contadino di Somma, Favorita a
Portici, Strada di Resina, ecc.
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