Campobasso 16 novembre 2013
REGIONE
MOLISE FONDAZIONE MOLISE CULTURA
GINO MAROTTA
A cura di Lorenzo Canova
FONDAZIONE MOLISE CULTURA PALAZZO EX GIL
16 Novembre 2013 – 28 febbraio 2014
La rinascita
di un edificio e la nascita di un nuovo
spazio per la città. Questa è la Gil oggi, nella nuova
veste donatale dal lungo restauro. Un luogo familiare ai campobassani, ma anche
un edificio di grande interesse storico e architettonico.
Palm trees, hedges and oak trees that spring from the floor, mint forests that frame the space in a cubic module, rhinos, giraffes and tigers that in a temporal cone drive us back to the Paleolithic age, cyclones and electrical trees which follow the laser track in the pulsating vibrations of LEDs: Gino Marotta, a year after his death, has come back to Campobasso with sixty of his works, in the beautiful spaces of the “Ex GIL”, the restoration of which he devoted great and constant attention.
This exhibition in his native region and in his home town, which Gino Marotta understandably held in particular regard, is not only a tribute to a great protagonist of Italian and international culture who has died, but also a tangible demonstration of his creative vitality and the great strength of a man who was always able to reinvent himself and put himself on the line up to his last days. He was always looking for new technical solutions, formal and conceptual, without fear of dangerous liaisons, as in his exhibition at the National Gallery of Modern Art inRome , the last year .
As a result, this exhibition fully reflects the idea of openness beyond limits that has constantly marked his work, according to his vision of development of Futurism, elaborated in the fertile Roman art scene of the Sixties, where Marotta was one absolute protagonist. He was among the very first ones to develop the founding codes of environment, of art - environment where the immersive spaces absorb and fully involve the audience in a multi-sensory way, as in his Forest of Mint of 1968. This masterpiece, exhibited at the Teatro delle Mostre in Rome in 1968, which thankfully has now been re-opened after years of neglect, and not surprisingly it opens the exhibition in Campobasso to allow viewers into the magical world of the artist, enfolding them in a big hug of artificial vines, of scents and flavours, combining the visual, tactile, olfactory and taste elements, as if you were diving among the algae of a lake of mint, fulfilling the clever insights of the multi-sensory perception theorized by Marinetti. The uniqueness of the Forest of Mint lies in that it ties together all of Marotta research, combining his humour and his playful look with the rigor that has always seen him talking with design and architecture, in a cubic module that, in its refined synthesis of many materials, dialogues on an equal footing with the research of Arte Povera and minimalism, which adds an all-Italian quality of perspective scansion and chromatic concept, where the plastic strips flutter with vibrations of green in the stillness or in the movement created by visitors.
Not by chance, the very idea of incorporation of the viewer in the space, in the architecture, in the light and in the color of the work, which results in a subtle and refined sense of disorientation, is also found in the solemn Cronotopo virtuale (Virtual Chronotype) of 2011, another work - environment which closes the timeframe of the exposed works. In Virtual Chronotype the artist runs over again some bearing images of his career, cutting them with artificial laser light, building a small translucent labyrinth where the perspective box splits up and overlaps in an iconic simultaneity of viewpoints and spatiotemporal crossings, stuck in a seemingly friendly place but that has the power to overturn and undermine our certainties of perception.
Following the second array of his work, derived from the Metaphysics of Giorgio de Chirico, who among other things helped him on his first arrival in Rome as a boy, Marotta structures his works on the model of a geometry in which the points of perspective are synchronized in a game of closures and empties, of architectural volumes and math revelations, wisely measuring also the dialectic of contrasts and harmonies of lights and shadows. Marotta enlightens the pop colors that De Chirico himself had anticipated in his paintings, receiving the homage of his younger followers, he dares the use of acid colors and plunges them into darkness shining with fantastic industrial and synthetic reflections that give us all his splendid, rigorous chromatic-pictorial vision.
Gino Marotta- Biografia
a cura di Isa Francavilla Marotta
1949-1959
1960-1969
1970-1979
1980-1989
1990-1999
2000-2012
Gino Marotta (Campobasso 1935 - Rome 2012)
1949-1959
His early paintings date back to the late forties, but it was only from the next decade on that he developed a number of different subjects, styles and techniques: works made of different materials such as tapestries, encaustic and amalgams of sand. To those years dates back his association with Emilio Villa, who in 1957 presented his first solo exhibition at the Galleria Montenapoleone in Milan.
1970-1979
In the first half of the decade he continues the creation of works in methacrylate and plastic materials which later he will abandon for more than twenty years.
inaugurazione sabato 16 novembre 2013 ore 18
Una
grande mostra di Gino Marotta (Campobasso 1935- Roma 2012) inaugurerà sabato 16
novembre le splendide sale espositive della Fondazione Molise Cultura nel
restaurato palazzo della Ex GIL di Campobasso progettato dall’architetto
Domenico Filippone.
La
mostra (curata da Lorenzo Canova, docente di storia dell’arte contemporanea
dell’Università del Molise e Sovrintendente della Fondazione Molise Cultura)
nasce come un grande omaggio a Gino Marotta nella sua regione e nella sua città
di nascita, a un anno esatto di distanza dalla sua scomparsa, e sviluppa un
progetto, al quale ha lavorato fino ai suoi ultimi giorni, pensato proprio per
gli spazi del palazzo della Ex GIL a cui l’artista era particolarmente legato.
Raccolte
intorno a otto grandi installazioni, saranno dunque esposte sessanta grandi
opere pittoriche e scultoree di Marotta che coprono più di cinquanta anni di
lavoro, dal Bandone del 1958
fino al Cronotopo virtuale del
2011, in
un percorso che non rappresenta solo un dovuto tributo a un grande protagonista
della cultura italiana e internazionale, ma una dimostrazione tangibile della
vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo che ha sempre
saputo rinnovarsi e mettersi in gioco, cercando sempre nuove soluzioni
tecniche, formali e concettuali
Sarà
possibile dunque ammirare una splendida selezione dei metacrilati di Marotta:
palme, siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che
inquadrano lo spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in
un cono temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che
seguono il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi.
Il
risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente l’idea di apertura e
sconfinamento che ha sempre segnato il lavoro di Marotta, seguendo la visione
di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo clima della Roma degli anni
sessanta di cui l’artista è stato uno degli assoluti protagonisti, elaborando
tra i primissimi i codici fondanti dell’environment,
di quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere
totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo
capolavoro apre non a caso la mostra di Campobasso per fare entrare gli
spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo avvolgente
abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo l’elemento
visivo, tattile, olfattivo e gustativo.
L’esposizione,
nei suoi spazi aperti dove le opere conversano liberamente tra loro, dimostra
ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri artisti totali del secondo
novecento, prosecutore della visione dell’artista polimorfico rinascimentale e
barocco, capace di fondere pittura, scultura e architettura, di raggiungere il
design e di contribuire all’apertura verso l’opera ambientale e la dimensione
dello spettacolo, in una declinazione anche elettronica, con l’uso del neon
prima e poi con i led delle sue ultime opere che pulsano nel buio come
costellazioni artificiali nate dal suo pensiero costruttivo.
Si
potranno ammirare anche i grandi quadri degli ultimi anni in cui Marotta gioca
con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa sospensione dove
tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che fa volare le cose
nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e raffinatissima formata su
una visione composita e impalpabile, allo stesso antica nel suo rigore e
futuribile nella sua visionarietà iconica.
Nella
fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi
capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e
rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio e formano
nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto costruttivo, i
colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure trasparenze dell’Oasi d’ombra che si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano
essere volati via dall’Oasi
coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus
conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un
fiore, lirica anticipazione della Ninfea
blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture
di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che
continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni.
Per
l’occasione è stato stampato un catalogo pubblicato da Maretti Editore dove
saranno pubblicate le immagini delle opere di Marotta già installate negli
spazi della Ex GIL.
Conferenza stampa sabato 16 novembre 2013
Interventi:
Paolo di Laura Frattura
Presidente Regione Molise
Fondazione Molise Cultura
Sandro Arco
Direttore Fondazione Molise Cultura
Lorenzo Canova
Università del Molise- Sovrintendente Fondazione Molise
Cultura - Curatore della mostra
Nel pomeriggio
Inaugurazione e apertura al pubblico sabato 16 novembre 2013
GINO
MAROTTA
Palazzo EX GIL
Fondazione Molise Cultura
Via Milano
15/ Via Gorizia 86100 Campobasso
Orari: Lun - Ven. 10,00/ 13,00 - Lun. e Merc. 15,30/ 18,00
Mostra
organizzata con la collaborazione scientifica dell’ARATRO, Archivio delle Arti
Elettroniche – Laboratorio per l’Arte Contemporanea dell’Università del Molise
Catalogo:
Maretti Editore
Sandro Arco
Direttore Fondazione Molise Cultura
Il Palazzo,
realizzato fra gli anni 1936/1938 su progetto dell’arch. Domenico Filippone,
rappresenta l’unico esempio di architettura razionalista nella città. Nato per
accogliere le attività della Gioventù del Littorio, l’edificio, con la sua
pianta a C che si adeguava perfettamente all’ambiente circostante, fu
riconosciuto subito dalla critica coeva quale frutto di un lavoro di
progettazione di alto profilo tecnico e formale.
Oggi, dopo gli
anni dell’abbandono e delle polemiche, il Palazzo ritorna a essere luogo aperto
alla città nella nuova veste di centro di promozione e produzione culturale,
ospitando, nei locali destinati a uffici, la Fondazione “Molise
Cultura” e le strutture regionali dedicate alla cultura e al turismo e offrendo
nuovi spazi all’arte e alla cultura.
A cominciare
dall’Auditorium che, con i suoi 260 posti, offre alla città la giusta
dimensione per ascoltare musica, confrontarsi su temi, assistere a
rappresentazioni, seguire incontri.
Poi i nuovi
spazi espositivi, recuperati nel progetto di restauro, che rappresentano il
punto di forza di questa rinascita: la Galleria Civica
che, con le sue luminose vetrate, accoglierà piccole ma significative
esposizioni, personali, progetti didattici e la grande Area Espositiva
sottostante con entrata da Via Gorizia adeguatamente predisposti per
accogliere, finalmente nel capoluogo di Regione, grandi mostre ed eventi
culturali di rilievo che, insieme a momenti laboratoriali, trascinino il
visitatore in un’esperienza unica e affascinante.
Non è allora un
caso che a inaugurare questo nuovo luogo destinato all’arte sia la Mostra (con la M maiuscola) di Gino Marotta,
grande artista di levatura nazionale e internazionale, figlio di questa terra,
tra i promotori più convinti della nascita della nostra Fondazione e suo primo
Sovrintendente.
A un anno dalla
morte di Gino una scelta delle sue opere più rappresentative, che segnano il
suo percorso artistico ma anche la storia della ricerca artistica in Italia è
qui, alla Gil. Un’esposizione attenta e ricercata, tesa a creare un mondo in
cui materia, forma, luce e colore si incontrano e dialogano per dare vita ad
una nuova, personale realtà fiabesca, quella di Gino Marotta.
Come Direttore
della Fondazione Molise Cultura sono onorato di far parte di questa operazione
di grande spinta culturale che, sono convinto, rappresenterà un punto di
riferimento imprescindibile per il futuro sviluppo delle vicende artistiche e
culturali della nostra Regione. L’impegno è di garantire qualità e continuità
alle attività promosse dalla Fondazione, nella speranza di contribuire in modo
rilevante alla crescita culturale delle presenti e future generazioni di
molisani.
Paolo di Laura Frattura
Presidente della Regione Molise
Presidente della Fondazione Molise Cultura
Marotta
per il catalogo
Oltre le radici
comuni. Oltre il marchio della piccola comunità delle origini. Il talento che è
tale e si manifesta con forme di universale potenza. Questo è stato, è e sarà
Gino Marotta.
Questo è la
personale allestita negli spazi espositivi della nostra Fondazione Molise
Cultura. Non un omaggio di compiacenza provinciale, ma un omaggio intriso del
riconoscimento dovuto a un grande artista che è nato qui, in questo nostro
silenzioso e caldo Molise, e altrove, nel mondo, ha trovato la sua
affermazione.
A un anno dalla
scomparsa, ci ritroviamo tutti di fronte alle opere che ci dicono e ci
testimoniano che il genio vive oltre se stesso. Sempre, per nostra fortuna.
Colori,
intelligenza, avanguardia, modernità, sperimentazione nelle sembianze di quei
simboli che hanno segnato in maniera inconfondibile la produzione di Gino
Marotta: animali e natura in un risultato ipnotico di gioco, sogno e fascino.
Di bellezza autentica che fa dei nostri timidi passi tra le meravigliose creazioni
passi felici e sempre più audaci lungo l’affascinante cammino onirico che il
Maestro ci ha regalato.
Così ci
ritroviamo tutti avvolti da un’atmosfera di magica sospensione che tramuta la
parola e l’interpretazione in ammirazione. Vera, calda, grata.
Perché grati,
eternamente grati, noi molisani saremo al coraggio e alla tensione espressiva
di un uomo grande nel mondo. Grande accanto ai più grandi della
contemporaneità.
Con Marotta
siamo saliti in alto, in un alto sublime a noi probabilmente interdetto senza la
sua creatività e la sua arte.
Con Marotta
siamo stati un nome nel mondo. Emozioni scalfite e vibranti nella nostra
memoria.
Gino Marotta, il
nostro orgoglio. Gino Marotta, il nostro esempio.
L’esempio di chi
per merito, capacità e bravura ha dimostrato che le radici della provincia,
ripulita dei facili sentimentalismi che non servono mai, sono lo straordinario
punto di forza di una narrazione artistica compresa e apprezzata in mille altri
spazi diversi.
Non sappiamo se
avremo di nuovo un Gino Marotta di cui vantarci. Sappiamo, però, che l’abbiamo
avuto, Gino Marotta. E questo è una impagabile fortuna.
L’allestimento
all’ex Gil ce lo ricorda con una dolce prepotenza che ha a che fare con l’amore
e la venerazione per il genio molisano.
Lorenzo Canova
OASI DELLA NATURA ARTIFICIALE
L’opera aperta di Gino Marotta
Palme,
siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che inquadrano lo
spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in un cono
temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che seguono
il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi: Gino Marotta, a
un anno dalla sua scomparsa, torna a Campobasso con sessanta opere negli
splendidi spazi di quella Ex GIL al cui recupero aveva dedicato una grandissima
e costante attenzione.
Questa
grande mostra nella sua regione e città di origine, a cui Gino Marotta
comprensibilmente teneva in modo speciale, non rappresenta solo un omaggio a un
grande protagonista della cultura italiana e internazionale, ma una prova
tangibile della vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo
che ha sempre saputo rinnovarsi e mettersi in gioco fino agli ultimi giorni,
cercando sempre nuove soluzioni tecniche, formali e concettuali e senza temere
relazioni e confronti affascinanti e pericolosi, come nella sua mostra alla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dello scorso anno.
Il
risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente il suo progetto,
nell’idea di apertura e sconfinamento che ha segnato costantemente il suo
lavoro, seguendo la visione di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo
clima della Roma degli anni sessanta di cui Marotta è stato uno degli assoluti
protagonisti, elaborando tra i primissimi i codici fondanti dell’environment, di
quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere
totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo
capolavoro, esposto nel Teatro delle
mostre a Roma proprio nel 1968 e che per fortuna ha rivisto recentemente
la luce dopo anni di oblio, apre non a caso la mostra di Campobasso per fare
entrare gli spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo
avvolgente abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo
l’elemento visivo, tattile, olfattivo e gustativo come se si sprofondasse tra
le alghe di un lago di menta e realizzando in modo geniale le intuizioni
dell’arte polisensoriale teorizzata da Marinetti. L’unicità della Foresta di Menta è tuttavia anche
quella di legare tutte le ricerche di Marotta coniugando la sua ironia e il suo
sguardo ludico al rigore progettuale che lo ha sempre visto dialogare col
design e l’architettura, in un modulo cubico che, nella sua raffinata sintesi
polimaterica, dialoga in modo paritario con le ricerche poveriste e con il
minimalismo, a cui aggiunge una qualità tutta italiana della scansione
prospettica e della concezione cromatica, dove le strisce di plastica fremono
di vibrazioni di verde nella stasi o nel movimento generato
dall’attraversamento dei visitatori.
Non
casualmente la stessa idea di inglobamento dello spettatore nello spazio,
nell’architettura, nella luce e nel colore dell’opera, che provoca un sottile e
raffinato senso di disorientamento, si ritrova anche nel solenne Cronotopo virtuale del 2011, altra
opera-ambiente che conclude l’arco temporale dei lavori esposti. Qui l’artista,
incidendole col laser percorso dalla luce artificiale, ripercorre alcune
immagini portanti della sua carriera, costruendo un piccolo labirinto
traslucido dove la scatola prospettica si scompone e si sovrappone in una
simultaneità iconica di punti di vista e di intrecci spazio-temporali
incastrati in un luogo apparentemente accogliente ma che ha il potere di
ribaltare e mettere in crisi le nostre certezze percettive.
Seguendo
dunque la seconda matrice della sua opera, derivata dalla Metafisica di Giorgio
de Chirico, che tra l’altro lo aiutò in occasione del suo primo arrivo a Roma
da ragazzo, Marotta struttura le sue opere sul modello di una geometria in cui
i punti prospettici si sincronizzano in un gioco di chiusure e di vuoti, di
volumi architettonici e di rivelazioni matematiche, dosando in modo sapiente
anche la dialettica di contrasti e armonie delle luci e delle ombre. Marotta
accende così i colori pop che
lo stesso de Chirico aveva anticipato nei suoi quadri ricevendo l’omaggio dei
suoi ammirati e più giovani continuatori, rischia cromatismi acidi e si immerge
in tenebre splendenti di magnifici riflessi sintetici e industriali che ci
regalano tutta la sua sfarzosa e rigorosissima intensità della sua visione
cromatico-pittorica.
La
mostra di Campobasso, nei suoi spazi aperti dove le opere conversano
liberamente, evidenzia ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri
artisti totali del secondo novecento, prosecutore della visione dell’artista
polimorfico rinascimentale e barocco, capace di fondere pittura, scultura e
architettura, di raggiungere il design e di contribuire all’apertura verso l’opera
ambientale e la dimensione dello spettacolo, in una declinazione anche
elettronica, con l’uso del neon prima e poi con i led delle sue ultime opere
che pulsano nel buio come costellazioni artificiali nate dal suo pensiero
costruttivo.
L’interesse
di Marotta per l’elemento artificiale rimodellato dal pensiero e dalla mano
dell’artista, in dialogo attivo e propositivo con il mondo della produzione e
dell’industria è del resto evidente sin dal Bandone
del 1958, in
cui la suggestione informale dialoga con il contesto internazionale del nouveau réalisme e del new dada nel riutilizzo dei
materiali di recupero a cui l’artista imprime tuttavia una direzione
architettonico-costruttiva del tutto personale che lo porta presto alle
pitture-oggetto dei primissimi anni sessanta e al successivo uso di quel
metacrilato che diventa il suo materiale di elezione.
Sono
gli anni in cui l’artista entra in rapporto diretto
con quel contesto internazionale che ha portato alla pop art, a cui Marotta dà
un originale contributo proprio con i suoi metacrilati, dove fonde le sue
esperienze progettuali di designer alla sua sintesi iconica e strutturale che
ha dato un senso nuovo al concetto stesso di scultura.
Marotta, infatti, non ha rinnegato il rapporto con la
produzione industriale, ma lo ha posto al centro delle sue opere nate dalla sua
azione disegnativa e progettuale. Così è stata la materia plastica la
protagonista di questo intenso dialogo che Marotta ha intrapreso seguendo
quell’idea costruttiva che negli anni Cinquanta e Sessanta ha reso l’Italia un
esempio per moltissime ricerche internazionali.
Attraverso il metacrilato, l’artista ha superato l’idea
statica della scultura spostandosi, parallelamente ad alcuni compagni di
strada, proprio verso l’esito (già intuito dai futuristi) dell’arte ambientale,
di nuovo quell’environment in cui l’opera si apre per fare entrare lo spettatore al
centro del suo nucleo strutturale. Quest’idea di spalancare l’arte alla
dimensione della vita conduce così a installazioni dove è diventato centrale
l’interesse di Marotta per la dialettica e il confronto tra naturale e
artificiale.
In queste opere degli anni sessanta e primissimi
settanta, difatti, gli alberi, i boschi, le palme, gli animali, il mare e la
pioggia sono di metacrilato, spesso con inserimenti di neon, per annunciare le
metamorfosi della modernità di un’arte che trasforma e modella il paesaggio, ma
anche per celebrare industrialmente il sentimento elegiaco della perdita, la
nostalgia per un mondo rurale in via di estinzione, come quello del suo Molise.
Nell’età dell’oro della Roma degli anni sessanta, Marotta
approda allora alla dimensione aperta e collettiva dello spettacolo, come
territorio di dialogo e interazione per le arti sulla linea inaugurata proprio
dal futurismo. Muovendo da questi presupposti, e soprattutto nel suo lungo
sodalizio con Carmelo Bene, dal film Salomè
fino agli spettacoli teatrali Nostra Signora dei Turchi e Hommelette for Hamlet,
Marotta sposta in modo quasi naturale la sua attenzione verso una dimensione
legata al teatro e al cinema, intesi come forme espressive che immergono e
coinvolgono lo spettatore nello spazio dell’opera.
Marotta,
con le sue Veneri artificiali che citano l’immagine
della Venere e Amore di Lucas
Cranach ma usando comunque materiali extrapittorici e metacrilato, ha poi
anticipato il contesto di recupero della storia dell’arte degli anni ottanta,
nel cui contesto si collocano la grande
installazione in pietra Le rovine dell’Isola di Altilia della Biennale di Venezia del 1984 (un omaggio all’area
archeologica dell’antica città romana di Sepino, i cui resti sorgono non
lontano da Campobasso e a cui l’artista era molto legato) e la
straordinaria scenografia di Hommelette for Hamlet (1987) che
vale a Marotta il Premio Ubu nel 1988, in una nuova stagione degli anni ottanta
che mostra un artista allo stesso tempo differente e coerente rispetto alle
esperienze precedenti.
Tuttavia, mai appagato dai risultati raggiunti,
Marotta, dalla fine degli anni novanta in poi, rinnova i suoi metacrilati, facendone
quadri, sculture e installazioni con inserti digitali e di led luminosi come il
citato Cronotopo virtuale .
In
questa e nuova e felice stagione, l’artista si è concesso anche il lusso
elegante di una pittura in cui, come de Chirico con la sua Neo-Metafisica,
Marotta gioca con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa
sospensione in cui tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che
fa volare le cose nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e
raffinatissima formata su una visione composita e impalpabile, allo stesso
antica nel suo rigore e futuribile nel suo immaginario.
In
questo senso si comprende di nuovo come una mostra di Gino Marotta non sia
fatta da una serie di opere in successione, ma come formi al contrario una sola
grande opera ambientale che gli spettatori potranno percorrere come una
splendida avventura in un mondo fantastico, composto dall’integrazione totale
di installazioni, scultura e pittura, in una dimensione aperta e spettacolare
che si dona alla vita per abbattere i confini tradizionali formando nuovi
codici spaziali e costruttivi.
Nella
fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi
capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e
rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio
e formano nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto
costruttivo, i colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure
trasparenze dell’Oasi d’ombra che
si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano
essere volati via dall’Oasi
coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus
conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un
fiore, lirica anticipazione della Ninfea
blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture
di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che
continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni.
OASIS OF ARTIFICIAL NATURE
The open work of Gino Marotta
by Lorenzo Canova
Palm trees, hedges and oak trees that spring from the floor, mint forests that frame the space in a cubic module, rhinos, giraffes and tigers that in a temporal cone drive us back to the Paleolithic age, cyclones and electrical trees which follow the laser track in the pulsating vibrations of LEDs: Gino Marotta, a year after his death, has come back to Campobasso with sixty of his works, in the beautiful spaces of the “Ex GIL”, the restoration of which he devoted great and constant attention.
This exhibition in his native region and in his home town, which Gino Marotta understandably held in particular regard, is not only a tribute to a great protagonist of Italian and international culture who has died, but also a tangible demonstration of his creative vitality and the great strength of a man who was always able to reinvent himself and put himself on the line up to his last days. He was always looking for new technical solutions, formal and conceptual, without fear of dangerous liaisons, as in his exhibition at the National Gallery of Modern Art in
As a result, this exhibition fully reflects the idea of openness beyond limits that has constantly marked his work, according to his vision of development of Futurism, elaborated in the fertile Roman art scene of the Sixties, where Marotta was one absolute protagonist. He was among the very first ones to develop the founding codes of environment, of art - environment where the immersive spaces absorb and fully involve the audience in a multi-sensory way, as in his Forest of Mint of 1968. This masterpiece, exhibited at the Teatro delle Mostre in Rome in 1968, which thankfully has now been re-opened after years of neglect, and not surprisingly it opens the exhibition in Campobasso to allow viewers into the magical world of the artist, enfolding them in a big hug of artificial vines, of scents and flavours, combining the visual, tactile, olfactory and taste elements, as if you were diving among the algae of a lake of mint, fulfilling the clever insights of the multi-sensory perception theorized by Marinetti. The uniqueness of the Forest of Mint lies in that it ties together all of Marotta research, combining his humour and his playful look with the rigor that has always seen him talking with design and architecture, in a cubic module that, in its refined synthesis of many materials, dialogues on an equal footing with the research of Arte Povera and minimalism, which adds an all-Italian quality of perspective scansion and chromatic concept, where the plastic strips flutter with vibrations of green in the stillness or in the movement created by visitors.
Not by chance, the very idea of incorporation of the viewer in the space, in the architecture, in the light and in the color of the work, which results in a subtle and refined sense of disorientation, is also found in the solemn Cronotopo virtuale (Virtual Chronotype) of 2011, another work - environment which closes the timeframe of the exposed works. In Virtual Chronotype the artist runs over again some bearing images of his career, cutting them with artificial laser light, building a small translucent labyrinth where the perspective box splits up and overlaps in an iconic simultaneity of viewpoints and spatiotemporal crossings, stuck in a seemingly friendly place but that has the power to overturn and undermine our certainties of perception.
Following the second array of his work, derived from the Metaphysics of Giorgio de Chirico, who among other things helped him on his first arrival in Rome as a boy, Marotta structures his works on the model of a geometry in which the points of perspective are synchronized in a game of closures and empties, of architectural volumes and math revelations, wisely measuring also the dialectic of contrasts and harmonies of lights and shadows. Marotta enlightens the pop colors that De Chirico himself had anticipated in his paintings, receiving the homage of his younger followers, he dares the use of acid colors and plunges them into darkness shining with fantastic industrial and synthetic reflections that give us all his splendid, rigorous chromatic-pictorial vision.
The exhibition of Campobasso , in an open space where the works dialogue
freely with each other, once again demonstrates how Marotta has been one of the
true, total artists of the late twentieth century, continuer of the vision of
the polymorphic Renaissance and Baroque
artist, able to fuse painting, sculpture and architecture, to reach the design
and help to open up toward the work environment and the size of the show, in a
declination including electronic form, with the use of neon first and later of
the LEDs of his last works that pulsate in the dark as artificial
constellations sprung up from his constructive thought.
Marotta’s interest for the artificial element reshaped by the mind and
hand of the artist, in an active and
proactive dialogue with the world of production and of the industry is evident
from his work Bandone of 1958, in which the informal suggestion dialogues with the international
context of the nouveau réalisme of new dada, in
the re-use of recovered materials, to which the artist gives however an
architectural - constructive direction of his own, that soon will lead him to
object-paintings of the early sixties and the subsequent use of the
methacrylate, that became his material of choice .
These are the years in which the artist comes into direct relationship with the international context that led to the pop art, to which Marotta gave an original contribution with his own methacrylates , merging his design experiences to his iconic and structural synthesis which has given a new meaning to the very concept of sculpture.
In this sense, Marotta didn’t deny the relationship with industrial production, but placed it at the centre of his works, created by his planning and design action. Plastic was then the major player in this intense dialogue that Marotta undertook following the constructive idea that in the fifties and sixties madeItaly an
example for many international studies .
These are the years in which the artist comes into direct relationship with the international context that led to the pop art, to which Marotta gave an original contribution with his own methacrylates , merging his design experiences to his iconic and structural synthesis which has given a new meaning to the very concept of sculpture.
In this sense, Marotta didn’t deny the relationship with industrial production, but placed it at the centre of his works, created by his planning and design action. Plastic was then the major player in this intense dialogue that Marotta undertook following the constructive idea that in the fifties and sixties made
Through methacrylate, the artist has gone beyond the static idea of
sculpture, in parallel with some fellow-travellers, just to the outcome
(already guessed by the Futurists) of environmental art where the works open to let the viewer into
the center of its structural core. This idea to open wide art to the dimension
of life leads to installations where Marotta’s interest for the dialectic and
the comparison between natural and artificial has become central. In these
works of the sixties and early seventies, in fact, the trees, the woods, the
palm trees, the animals, the sea and the rain are methacrylate, often with
insertions of neon, to announce the metamorphosis of modernity of an art that
transforms and shapes the landscape, but also to industrially celebrate the
elegiac feeling of loss, nostalgia for a rural world in danger of
extinction, like that of his Molise.
In the golden age of the Roman ixties, Marotta gets to an open and
collective dimension of the show, as a territory of dialogue and interaction
for the arts on the line inaugurated by futurism. Starting from these
assumptions, and especially in his long association with Carmelo Bene from
the film Salomè up to the theatre
shows Nostra Signora dei Turchi e
Hommelette for Hamlet , Marotta moves his attention in an almost natural
way to a dimension linked to the theatre and cinema, seen as forms of
expression that immerse and involve the viewer in the space of the work.
In this context we find the large stone installation Le rovine dell’isola di Altilia for the Venice Biennale in 1984 ( a homage to the archaeological site of the ancient Roman city of Sepino, whose ruins are located not far from Campobasso and to which the artist was very close) and the extraordinary set of Hommelette for Hamlet (1987) that won him the Ubu Prize in 1988,in a new era of the eighties that reveals an artist at the same time different and consistent with his previous experiences.
However, never content with the results achieved, Marotta, by the end of the nineties onwards, renews his methacrylates, making paintings, sculptures and installations with inserts and digital LEDs such as the aforementioned Virtual Chronotope .
And in this new and happy season, the artist allows himself even the luxury of a painting in which, as De Chirico with his Neo - Metaphysics , Marotta plays with his iconographic world composing works of mysterious suspension in which everything is swept by an enigmatic wind of lightness that makes things fly in a light and quivering swirl, of a mild and refined texture, shaped on a composite and impalpable vision, at the same time old in its rigor and futuristic in its iconic visionary .
In this sense we can understand why an exhibition of Gino Marotta is not a series of works in succession, it creates instead a unique great work-environment, where viewers can walk down, as if it were a wonderful adventure in a fantasy world, composed by the total integration of installations, sculpture and painting, and in an open spectacular dimension that breaks down the traditional boundaries forming new spatial and constructive codes.
In this context we find the large stone installation Le rovine dell’isola di Altilia for the Venice Biennale in 1984 ( a homage to the archaeological site of the ancient Roman city of Sepino, whose ruins are located not far from Campobasso and to which the artist was very close) and the extraordinary set of Hommelette for Hamlet (1987) that won him the Ubu Prize in 1988,in a new era of the eighties that reveals an artist at the same time different and consistent with his previous experiences.
However, never content with the results achieved, Marotta, by the end of the nineties onwards, renews his methacrylates, making paintings, sculptures and installations with inserts and digital LEDs such as the aforementioned Virtual Chronotope .
And in this new and happy season, the artist allows himself even the luxury of a painting in which, as De Chirico with his Neo - Metaphysics , Marotta plays with his iconographic world composing works of mysterious suspension in which everything is swept by an enigmatic wind of lightness that makes things fly in a light and quivering swirl, of a mild and refined texture, shaped on a composite and impalpable vision, at the same time old in its rigor and futuristic in its iconic visionary .
In this sense we can understand why an exhibition of Gino Marotta is not a series of works in succession, it creates instead a unique great work-environment, where viewers can walk down, as if it were a wonderful adventure in a fantasy world, composed by the total integration of installations, sculpture and painting, and in an open spectacular dimension that breaks down the traditional boundaries forming new spatial and constructive codes.
In the fusion of all the elements of this unique and open work, the
different chapters drawn by Marotta stand out in the taut and gleaming
perspectives of the renovated rooms of the Ex GIL, interact with space and
shape new relationships between their modulations and their constructive plant,
acids and bright colors harmonize with the dark transparencies of Oasis
d’ombra that stretches toward the Forest
of Mint and Corteo di dromedari (Train of dromedaries), I
fenicotteri prigionieri, (The
flamingo prisoners) seem to be blown away by the colourful Oasis and
reflected in the windows of the Hortusconclusus,
with its blue snake and its pink giraffe
eating a flower, lyrical anticipation of the Ninfea blu, (Blue water
lily) that blooms in the dark with its blue waves reflected in the
sculptures of light, uninterrupted vibrations of the electrical genius of Gino
Marotta that continues to give new visions and new dazzling revelations.
Gino Marotta- Biografia
a cura di Isa Francavilla Marotta
Gino Marotta (Campobasso 1935 - Roma 2012)
Nasce a Campobasso il 20 giugno 19 35. A soli quindici anni si
trasferisce a Roma dove frequenta il liceo artistico e entra in contatto con
gli artisti che animavano la scena romana fra cui de Chirico, che lo aveva
ricevuto qualche anno prima e aveva accettato di guardare i suoi primi lavori, Capogrossi,
Guttuso, Turcato, Cagli.
Le sue prime opere pittoriche risalgono alla fine degli
anni Quaranta, ma è dalla decade successiva che sviluppa una serie di differenti
soggetti, stili e tecniche: opere polimateriche come arazzi, encausti, velatini
e amalgame di sabbia. A quegli anni risale il suo sodalizio con Emilio Villa
che nel 1957 presenta la sua prima mostra personale alla Galleria
Montenapoleone di Milano.
In seguito realizza i
Piombi, quadri di piombo e
stagno, saldati con la fiamma ossidrica, che espone per la prima volta a Roma
alla Galleria La Salita ,
con la presentazione di Franco Russoli.
Con questi lavori è presente già nel ’57-’58 insieme a
Burri, Fontana, Capogrossi, Balthus, Licini e Léger in mostre internazionali
come Pittori d'oggi Francia-Italia a Torino, Modern Italiensk Maleri a Copenaghen e molte
altre rassegne internazionali.
Nel 1958 è tra gli artisti invitati da Marco Valsecchi
alla mostra Giovani artisti italiani. Il Giorno,
alla Permanente di Milano e da
Lionello Venturi alla mostra Nuove tendenze dell’arte italiana, alla Rome-New York
Art Foundation di Roma.
La sua ricerca lo porta a realizzare prima gli Allumini, sottili lamine di alluminio saldate,
poi i Bandoni, lamiere di
ferro trovate, asportate dalle baracche abbandonate, che conservano le immagini
popolari stratificate nel tempo come provocanti figure femminili, pubblicità di
macchine da cucire, scritte varie e molte altre immagini. Marotta si limita ad
assemblarle, compiendo un’operazione neo-dadaista; i Bandoni verranno esposti nel 1959 a Milano alla Galleria dell’Ariete, presentati
da Gillo Dorfles e a Roma alla Galleria Appunto, con un testo di Cesare Vivaldi.
Sempre nel ’59 viene chiamato da Corrado Cagli a
realizzare gli apparati scenici del Misantropo di Menandro rappresentato all’Olimpico di Vicenza con la regia
di Luigi Squarzina.
Dopo la stagione dell'informale alcuni giovani artisti provenienti
da esperienze differenti (Pietro Cascella, Piero Dorazio, Gino Marotta, Fabio
Mauri, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella, Giulio Turcato) fondano
il Gruppo CRACK, con l’intento di proporre una nuova versione del neodadaismo e
la riscoperta della tradizione futurista.
Nei laboratori delle industrie chimiche e delle fonderie
Marotta sperimenta nuovi materiali quali poliuretani e poliesteri e realizza
sculture servendosi dei procedimenti industriali per la produzione in serie.
Le opere dei primi anni Sessanta sono esposte nel ‘64 alla
Tredicesima Triennale di Milano e nella
personale alla Galleria Anthea di Roma, con il testo di Emilio Villa Anatomia
Ginomarotta. L’anno
successivo sono presenti alla IX
Quadriennale Nazionale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma e nella
personale 10 Sculture alla Galleria dell’Ariete di Milano, con la presentazione
di Giorgio Soavi.
Nella prima metà del decennio esegue vari interventi architettonici
tra cui le decorazioni per la facciata della Sinagoga di Livorno e, nel Palazzo
della RAI di Viale Mazzini a Roma, le decorazioni del controsoffitto metallico
e i bassorilievi in bronzo fuso.
La vocazione all’uso di materiali inediti prosegue nelle
sculture ritagliate nel metacrilato che ben presto si trasformano in Environment. Basti pensare al Bosco
Naturale-Artificiale (1967), al Nuovo Paradiso (1968) e all’Eden Artificiale (1969) con cui è
presente, oltre che nella straordinaria mostra Lo Spazio dell'Immagine di Foligno (1967), alla IX Bienal de São Paulo do Brasil (1967),
alla Exhibition of contemporary Italian art,
National Museum of Modern Art di Tokyo, all’Esposizione
Universale di Montreal (1967), alla mostra 4 Artistes Italiens plus que
Nature, Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre, a Parigi con Ceroli,
Kounellis e Pascali (1969) e alla Galleria de Nieubourg di Milano (1969).
Nella rassegna Teatro delle Mostre (1968) alla Galleria La Tartaruga di Roma,
espone l’opera-ambiente multisensoriale Foresta di menta, una lunga serie di fili verdi
ricavati da materiali plastici che danno la suggestione di liane appese,
inseriti in un ambiente profumato di menta. Nello stesso anno, nei tre giorni
di Arte Povera+Azioni Povere, manifestazione organizzata da Celant ad
Amalfi, partecipa con Giardino all’italiana, un intervento a carattere urbano in
cui schiera delle balle di paglia. Nel maggio del 1968 è invitato a esporre
alla XIV Triennale di Milano.
In questi anni esegue numerosi alberi, una complessa
zoologia artificiale in metacrilato e le opere-ambiente Mare artificiale e Pioggia artificiale del
1969.
Amico di poeti come Ungaretti e Cardarelli, realizza
preziosi libri con Emilio Villa, Giorgio Soavi e Antonio Delfini.
Nella prima metà del decennio continua la realizzazione di
opere in metacrilato e materiali plastici che in seguito abbandonerà per più di
venti anni.
A gennaio la personale Il Giardino all’Italiana, alla Modern Art Agency di
Napoli, presentata da Achille Bonito Oliva con il testo L’animazione del
falso reale.
Marotta ha partecipato e contribuito attivamente alla
realizzazione di alcune delle più interessanti mostre italiane contemporanee:
oltre alla già citata Lo Spazio dell'Immagine del 1967, anche Amore Mio a Montepulciano (1970) e Vitalità
del Negativo al Palazzo
delle Esposizioni di Roma (1970-71) dove espone, accanto alle installazioni del
precedente decennio, l’opera-ambiente Misura naturale cava in fiberglass, un grande cubo al cui
interno lo spettatore scopre l’impronta al negativo di un albero.
Con la mostra Amore mio Marotta rende pubblica una ricerca iniziata alla fine degli
anni Sessanta in cui smalti industriali dai colori acidi e violenti su lamiere
zincate o ossidate e su lastre di metacrilato riproducono i suoi amori della
Storia dell’Arte, da Ingres a Tiziano, da Cranach a Hayez, o immagini da
rotocalco di procaci pin-up. Nelle scatole di metacrilato le figure lasciano
trasparire materiali di diversa natura, dal cartone alle piume, dalla carta
argentata alle stoffe di gusto popolare. Il tutto svela da un lato l’amore di
Marotta per la grande pittura, dall’altro una vena d’ironia che accompagna
costantemente la sua ricerca.
Nel 1971
partecipa alle mostre Elf Italiener Heute al Museum am Ostwall di Dortmund e Multiples The First Decade al Museum of Modern Art di
Philadelphia.
Nel 1972 è invitato alla X Quadriennale d’Arte, Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove
espone l’installazione Introduzione generale alla natura e a Italy The New Domestic
Landscape, MoMA, New York.
Il cinema e il teatro d’avanguardia lo vedono impegnato in
varie imprese, come l’ideazione di immagini, scene e costumi per il film Salomè (1972) e la scenografia teatrale di Nostra
Signora dei Turchi di
Carmelo Bene (1972).
Al 1973 risale la grande antologica alla Rotonda della
Besana di Milano, la partecipazione alla XII
Biennale Middelheim di Anversa e l’Eden Artificiale nei Giardini
della XV Triennale di Milano, nella
sezione Contatto Arte-Città accanto
agli interventi di Arman, Burri, De Chirico, Hundertwasser, Matta e altri.
Nel 1977 la personale I Rilievi all’Accademia delle Arti del Disegno
di Firenze, di cui è Accademico Ordinario, con la presentazione di Rodolfo
Siviero, rende manifesta una ricerca iniziata nel 1974, un’operazione
riconducibile a un’esercitazione sul linguaggio: i Rilievi, immagini anamorfiche e virtuali che appaiono sulla
struttura lignea.
Negli anni Ottanta l’abbandono dei materiali plastici e
industriali per rivolgersi a materiali più “tradizionali” (il marmo, il bronzo,
la pittura a olio…) non lo distoglie dalla sua ricerca rigorosa sul linguaggio
e sullo studio della incidenza della luce
anche nelle opere pittoriche.
Nel 1981 realizza L’Albero della Vita, una scultura alta più di tre metri in
travertino e onice romano destinata a Lignano Sabbiadoro. “Nulla più
dell’albero, dalle origini del pensiero umano, si è imposto come metafora e
come simbolo, simbolo della vita nel suo differenziarsi rispetto al tempo e lo
spazio, simbolo della vita come differenziazione della terra, ‘asse verticale’
che si oppone alla orizzontalità dell’‘orizzonte’…”, dice Paolo Portoghesi
nella presentazione dell’opera.
E’ del 1982 la personale Gino Marotta Dipinti e
sculture recenti alla
Galleria Rondanini di Roma con il testo
introduttivo di Emilio Villa L’orizzonte artificiale.
Nel 1984, alla 41.
Esposizione Internazionale d’Arte, la Biennale di Venezia, espone Le Rovine
dell’Isola di Altilia, una
rilettura tra memoria, rielaborazione onirica e sguardo visionario dell’antica
Saepinum. L’installazione è inserita nei Giardini della Biennale, in posizione
dialogante con lo spazio ideato da Carlo Scarpa per il Padiglione Italia.
La personale I Giardini di Apollo e altre Storie Barocche alla Galleria Apollodoro di Roma,
presentata da Vittorio Sgarbi è dell’aprile 1986. Per l’occasione sono
pubblicati i testi di Maurizio Calvesi e Paolo Portoghesi.
Nello stesso anno, nella Galleria Novecento di Palermo, ha
luogo la personale Luoghi d’artificio in cui vengono esposti disegni dal 1978 al 1984 dedicati a
Jorge Luis Borges: un inventario di simboli, spazi mentali e della memoria che
ogni uomo può vedere in se stesso chiudendo gli occhi.
Nel 1986 è invitato alla XI Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Il teatro lo vede impegnato nella realizzazione delle
immagini, delle scene e dei costumi di Hommelette for Hamlet di Carmelo Bene (1987), che gli fanno meritare nel 1988 il
Premio Ubu per la migliore
scenografia.
A dicembre del 1990 espone nuovamente, dopo più di
vent’anni, il Bosco naturale-artificiale (1967) nella mostra Roma anni ’60 Al di là della pittura al Palazzo delle Esposizioni di Roma,
curata da Maurizio Calvesi e Rosella Siligato.
É dell’anno successivo la realizzazione di vetrate,
tarsie, pavimento e pitture murali nel Centro Congressi Giovanni XXIII di
Bergamo.
Nel 1992, oltre alla personale Il Teatro del Pellegrino
al Palazzo Rondanini di Roma, con la presentazione di Fabrizio D’Amico,
partecipa all’Expo Universale di Siviglia ‘92 con la Grande Sinopia
italiana, una sanguigna su
carta alta 140 cm
e larga circa 20 metri .
Nel 1994 la mostra Paralleli all’Accademia d’Egitto di Roma, a
cura dell’Accademia d’Egitto e dell’Associazione Romana delle Gallerie d’Arte
Moderna.
Nel 1997 torna a esporre le sue sculture in metacrilato
nella personale Gino Marotta - Metacrilati. Opere 1964-1974 alla
Associazione Culturale La Palma
di Roma e nella mostra Dadaismo Dadaismi a Verona, curata da Giorgio Cortenova.
Nel 1999 la personale Gino Marotta. Metacrilati, al Palazzo Ricci di Macerata, copre
un arco temporale che va dagli inizi degli anni Sessanta alla seconda metà dei
Settanta e presenta nuove opere in metacrilato eseguite dal 1998 al 1999. “La
fervida animazione che ha pervaso l’azione di quegli anni è riemersa, nel
restaurare alcuni pezzi inevitabilmente danneggiati, attivando un contagioso
piacere a giocare ancora una volta con quelle materie e con quei mezzi. Il
riannodare le fila di un discorso ormai lontano mi ha consentito di realizzare
delle ‘nuove’ opere che figurano in questa mostra e in qualche modo ne costituiscono
un prolungamento”, scrive Marotta in un testo presente nel catalogo.
A fine anno, nella personale I nuovi metacrilati
alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma, espone “quelle magiche scatole delle
meraviglie, in cui il gioco delle trasparenze e delle sovrapposizioni
cromatiche si mescolava con quello delle luci e delle ombre… in cui il pieno e
il vuoto si scambiavano le parti e non si capiva se fossero una sola opera o
tante opere…”, come dice Gian Piero Jacobelli nel testo di presentazione.
Partecipa inoltre alla mostra a cura di Plinio De Martiis L’arte
Pop in Italia Pittura design e grafica
negli anni Sessanta alla Galleria d’arte Niccoli di Parma. Nel 1999
è nominato accademico nazionale dell’Accademia di San Luca di Roma.
Dopo la partecipazione all’Expo 2000 di Hannover,
espone nel 2001, nella personale La luce colorata alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma, delle
opere realizzate dal 1999 in
metacrilato e luce artificiale colorata.
“Il supporto di metacrilato, come accade nelle fibre
ottiche, consente il fulmineo scorrimento della luce nello spessore dei solchi
incisi sulle varie superfici, facendo apparire le immagini luminose di cui si
animano queste moderne ‘icone’ che mi piace immaginare laiche e prive di
retorica, come suppongo dovrebbero essere i quadri nell’epoca della virtualità
e della comunicazione globale, a cui questi manufatti appartengono, almeno per ragioni
tecnologiche e temporali”, scrive l’artista.
Nello stesso anno al Complesso del Vittoriano di Roma,
nella mostra antologica Metacrilati, espone sculture e quadri in metacrilato (1964-2001).
L’albero della vita, una
scultura del 1973 alta 240 cm
e altre opere entrano a far parte della Collezione Farnesina, come è illustrato
nel volume Artisti italiani del XX secolo alla Farnesina, con testi di Maurizio Calvesi e
Paolo Portoghesi.
Nell’estate del 2002 nella personale Rupestre, al Museo delle Ceramiche di
Castelli, curata da Antonello Rubini, espone grandi massi in semirefrattario
engobbiato installati su torba e numerose sculture in ceramica. “A Castelli ho
visto Marotta plasmare la creta e dipingerla con la stessa sicurezza e
raffinatezza di quando lavora a mani sicure il suo notissimo mondo di plastica”,
scrive il curatore della mostra.
Realizza anche una grande scultura in acciaio inox alta
circa 8 metri ,
il Grande Alone, per la XVI
Edizione
Scultori a Brufa nel comune di Torgiano (2002).
Nel 2003 è invitato alla mostra La Grande Svolta
Anni ‘60, Palazzo della
Ragione, Padova, a cura di Virginia Baradel,
Ennio Ludovico Chiggio e Roberto Masiero.
Nel corso del 2004, per iniziativa degli Istituti Italiani
di Cultura, un ciclo di quadri
in metacrilato del 2003 è esposto
in molte città dell’Asia: a Seul alla Galleria Pici; all’Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi; a Karachi alla Amin Gulgee Gallery; a Islamabad
all’Alliance Francaise; a Taipei
alla Taipei MOMA Gallery.
Nel 2005, dopo la personale Natura e Artificio alle Scuderie Aldobrandini di
Frascati, partecipa all’Expo 2005 di Aichi e alla mostra Pop
Art Italia, alla Galleria
Civica di Modena, a cura di Walter Guadagnini.
Nell’ottobre dello stesso anno è presente a Parigi con tre
differenti mostre: Prato Artificiale alla Galerie Italienne di Boulevard Raspail; Bosco
Naturale-Artificiale alla Galerie
Italienne di Rue de la
Fontaine au Roi; Paesaggio Artificiale alla FIAC. A novembre un piombostagno
del 1957, Il Vigilante, è
esposto alle Scuderie del Quirinale a Roma nella mostra Burri, gli artisti e
la materia 1945-2004 .
Nel 2006 partecipa alla mostra Il Modo Italiano.
Italian Design and Avant-garde in the 20th Century, al Montreal Museum of Fine Arts e al Royal
Ontario Museum di Toronto (riproposta
nel 2007 al MaRT di Trento e Rovereto).
In aprile la personale Gino Marotta Methacrylates alla Galleria Nilufar di Milano.
A giugno, negli spazi della Galerie Italienne di Parigi,
vengono riproposti gli Environnements degli anni ‘60 e nell’ottobre dello stesso anno, a Londra,
durante la Frieze Art
Fair, ha luogo la mostra personale Naturale-Trasparent-Artificiale: 1960
to 2006 nelle David Gill
Galleries.
Nel 2007 riceve dal Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano il Premio Vittorio De
Sica per la
Scultura e realizza per la città di Civitanova Marche il Trialone, una scultura in acciaio inox
scatolare alta circa 9 metri
nel cui bordo interno una fila di vaporizzatori di acqua e led luminosi
producono un arcobaleno artificiale.
È dello stesso anno la pubblicazione della monografia di
Maurizio Calvesi Marotta,
con note critiche di Lorenzo Canova, volume a cura di Isa Francavilla edito
da Silvana Editoriale.
Dal 2007 al 2010 partecipa
alle mostre: Viaggio nell’Arte Italiana 1950-80 Cento opere dalla Collezione Farnesina (Sarajevo, Sofia, Budapest, Sibiu,
Bucarest, Varsavia, Santiago
del Cile, Buenos Aires, San Paolo, Lima, Caracas, e Guadalajara), a cura di
Maurizio Calvesi e Lorenzo Canova (2007); ’50-’60 La scultura in Italia. Opere
dalle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a cura di Mariastella Margozzi, Villa d’Este, Tivoli
(2007); 20 Maestri della Collezione Farnesina Mostra d’Arte Contemporanea a cura
di Maurizio Calvesi e Lorenzo Canova, Milano Malpensa (2007); la tanto discussa
mostra /Italics/, a cura
di Francesco Bonami, Palazzo Grassi, Venezia (2008); L’energia della materia, Casa Italia, Olimpiadi di Pechino (2008); Energie
sottili della materia (Shangai,
Pechino, Shenzhen e Saluzzo) (2008); Spazio Tempo Immagine al CIAC, Centro Italiano Arte
Contemporanea di Foligno (2009); Il
grande gioco Forme d’arte in Italia 1959-1972 , a cura di Bruno Corà, alla Rotonda della Besana, Milano
(2010); Roma Sessanta. Cinque scultori, a cura di Luca Beatrice, Villa Ottolenghi, Acqui Terme (2010);
Scultura Internazionale a Racconigi, a cura di Luciano Caramel, Castello di Racconigi (2010).
Dal 2007 al 2010 le mostre personali: Natura e
Artificio, Scuola dei
Mercanti, Venezia, a cura delle Galerie
Italienne di Parigi e David Gill Galleries di Londra (2007); Gino Marotta Naturale_Artificiale all’Aratro, centro per l’arte
contemporanea dell’Università degli
Studi del Molise a Campobasso, a cura di Lorenzo Canova; Gino Marotta Anni Cinquanta, a cura di Alberto Fiz, nello Studio Giangaleazzo
Visconti di Milano (2007); Trasparente/Apparente,
a cura di Maurizio Calvesi, Galleria
La Nuvola ,
Roma (2008); Gino Marotta La rotazione dello sguardo inquieto al Modigliani Institut, Palazzo Taverna, Roma (2009); Gino
Marotta Amore amore, a cura di Ada Masoero, allo Studio
Giangaleazzo Visconti di Milano
(2009); Gino Marotta Corteo di primavera e altre luci colorate a cura di Bruno Corà nel chiostro e
in altre sale dell’Abbazia di
Fiastra, Macerata (2010).
Nel 2009, alla riapertura del MACRO di Roma, nella
personale Gino Marotta, a
cura di Luca Massimo Barbero, espone l’Eden artificiale, una selezione
di sculture in metacrilato (1967-1973) e in una seconda sala l’opera Ricognizione
virtuale della savana, ideata e realizzata proprio per questa mostra, un’installazione
lunga dieci metri che utilizza alcune tra le più moderne tecnologie come led e
laser. “Addentrarsi nell’opera di Gino Marotta significa compiere un viaggio
attraverso il tempo e la materia… Con lui abbiamo scelto di rendere la mostra
al MACRO un’occasione per dare inizio a un viaggio, non lineare ma diacronico…
Da una parte quindi gli animali, che muovendosi nello spazio e nella luce hanno
trovato la loro collocazione in un’oasi che si trasforma in ambiente… Dall’altra
parte qualcosa che si muove staticamente nell’ombra: la grande opera Ricognizione
virtuale della savana è
una lama di luci e colori in una sala buia. Una grande lastra in cui l’artista
compie una perlustrazione del proprio lavoro, ordinando su un piano insieme
immaginario e fisico le ‘icone’ virtuali di una ricerca artistica che si fa ipertesto”
scrive Luca Massimo Barbero, il direttore del MACRO, nel testo di presentazione
della mostra.
Presentata da Maurizio Calvesi con il testo La
supernatura di Gino Marotta, la
mostra Gino Marotta L’incanto della savana (2010), nella Galleria La Nuvola , propone a Roma opere che continuano e
sviluppano la ricerca iniziata con Ricognizione virtuale della savana e ancora prima, nel 1999, con le
opere del ciclo La luce colorata.
Nel volume Indaco Piccolo vocabolario personale,
Christian Maretti Editore, 2009, sono raccolti appunti, testi, memorie, testimonianze
e considerazioni private che tracciano il vocabolario personale dell’artista,
protagonista e testimone degli avvenimenti culturali degli ultimi decenni.
I quadri in metacrilato realizzati tra il 1998 e il 2009
sono raccolti nel volume Gino Marotta Pinacoteca Artificiale di Lorenzo Canova, Christian Maretti
Editore, 2010.
Nel 2011 è invitato alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale di Venezia, Padiglione
Italia, dove espone il Cronotopo
Virtuale, un’opera-ambiente di luce colorata in cui entrare, quasi
accecarsi e perdere i riferimenti del mondo. Qui, come Marotta afferma “…la
luce colorata, il colore ottico, in
luogo del colore materico, assume una dimensione fisica”. Le immagini ci
appaiono in tutta la loro virtualità e immaterialità.
Negli stessi mesi a Venezia, nella mostra personale Luci d’Artificio, curata da Laura Cherubini,
alla Caserma Cornoldi in Riva degli Schiavoni, vengono esposte alcune
delle sue opere storiche, in metacrilato e luce artificiale, e le più recenti Luci colorate.
“I lavori con la luce sono legati a un’idea di
modernità che l’artista intende come libera progressione di vita”, scrive la
curatrice della mostra.
Nel 2012 è invitato alla 11a
Bienal de La Habana. Nella mostra Tecnica
Mista Com’è fatta l’arte del Novecento, a cura di Marina Pugliese, nel Museo del
Novecento di Milano, espone Natura Modulare del 1966. In
primavera la personale Gino Marotta
Artificiale Virtuale alla Galleria Anna D’Ascanio di Roma. A settembre Gino Marotta Metacrilati 2003-2010 Luci colorate 2011-2012 alla Galleria Peccolo di Livorno.
Il 6 ottobre, alla Galleria
nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, la mostra Gino Marotta Relazioni Pericolose a cura
di Laura Cherubini e Angelandreina Rorro. La mostra ha un carattere del tutto
inusitato, “…una vera e feconda relazione intellettuale che ha prodotto una
‘mostra non mostra’, un percorso che si fa naturalmente seguendo quello già
fatto da Marotta. Una relazione pericolosamente viva tra persone con ruoli
diversi e con un obiettivo comune: verificare la vitalità dello spazio museo e
delle sue collezioni rileggendolo attraverso gli occhi e il lavoro di uno dei
protagonisti della scena artistica del secondo novecento e della
contemporaneità. Per circa un anno dunque, si sono susseguiti appunti,
incontri, confronti tra Gino Marotta, Isa Francavilla Marotta, Laura Cherubini,
Angelandreina Rorro e la soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli che ha
condiviso l’idea di un percorso e ne ha permesso la realizzazione”, scrivono le
curatrici. “Ho provato a adoperare il materiale
museo come i colori a olio, il bronzo,
il metacrilato e tutto quanto riappare nella risacca della memoria, personale e
storica… In questa occasione ho recuperato e messo insieme tutte le
energie, le sinergie e i ricordi che mi legano a ognuna delle opere della
collezione, in una sorta di diario sentimentale e forse ironico che mi
autorizza a giostrare con il museo, i suoi contenuti e il mio giardino
immaginario. Senza dimenticare il rispetto e l’amore per ogni suo frammento,
ho provato a provocare dei cortocircuiti, direi i miei cortocircuiti che in
questo luogo da sempre alimentano la passione e il desiderio per il non
manifesto, la fata che insegue ogni
artista”, dice Marotta a proposito della mostra.
In ottobre una sua opera della collezione Farnesina
viene esposta nella collettiva Il Palazzo della Farnesina e le sue
collezioni nell’Istituto Italiano di Cultura a Londra.
Il 16 novembre 2012 muore a Roma.
Il 9 febbraio, alla Galleria nazionale d’arte moderna
e contemporanea di Roma, ha luogo la giornata di studio Per Gino Marotta, incontro di studio. Ne sono relatori Maria
Vittoria Marini Clarelli, Maurizio Calvesi, Laura Cherubini, Bruno Corà. Fra le
molte testimonianze: Lorenzo Canova, Barbara Martusciello, Raffaele Gavarro. In
quell’occasione esce il libro di Gino e Isa Marotta Lettere. CorRispondenze di arte e di vita, edito da Maretti Editore, una sorta di
diario-epistolario – scrive Marotta nella presentazione del volumetto – “che da
tempo costituisce una singolare consuetudine tra me e mia moglie Isabella. Si
intravede chiaramente la reciprocità dei ruoli di testimoni e complici che in
questa avventura ci coinvolge e ci responsabilizza senza ipocrisie né
infingimenti di comodo. Un modo non comune di costruire un rapporto
sentimentale e creativo”.
A marzo la mostra A
Roma Obras de la colección Farnesina, Museo de Arte Carrillo Gil, Ciudad de
México, a cura di Laura Cherubini.
Biography
by Isa Francavilla Marotta
by Isa Francavilla Marotta
Gino Marotta (Campobasso 1935 - Rome 2012)
Born in Campobasso, June 20, 1935. At fifteen, he
moved to Rome, where he attended art school and met the artists that enlivened
the Roman art scene, including De Chirico (who had received him a few years
earlier and had agreed to get a look at his early works), Capogrossi, Guttuso,
Turcato, Cagli.
His early paintings date back to the late forties, but it was only from the next decade on that he developed a number of different subjects, styles and techniques: works made of different materials such as tapestries, encaustic and amalgams of sand. To those years dates back his association with Emilio Villa, who in 1957 presented his first solo exhibition at the Galleria Montenapoleone in Milan.
Later he created Leads, pictures of lead and tin,
oxyhydrogen welded, exhibited for the first time in Rome at the Galleria La Salita , with the
presentation of Franco Russoli.
With these works in '57- '58, together with Burri, Fontana, Capogrossi , Balthus , Licini and Léger, he is already performing in international exhibitions such as Pittori d’oggi Francia-Italia in Turin , Modern Italiensk Maleri in Copenhagen and many other international events .
In 1958 he was among the artists invited by Marco Valsecchi to the exhibition Giovani artisti italiani . Il Giorno, at the Permanente in Milan and by Lionello Venturi at the show Nuove tendenze dell’arte italiana, at the Rome- New York Art Foundation, in Rome.
His search leads him to realize first Allumini (Aluminums), thin aluminum sheets welded, and later, Bandoni, iron sheets found and removed from abandoned shacks, that keep popular images layered in time, such as provocative female figures, advertising of sewing machines, various writings and many other images. Marotta just assembles them, making a neo-Dadaist operation. The Bandoni will be exhibited in Milan in 1959 at the Galleria dell’Ariete, presented by Gillo Dorfles and later in Rome, at the Galleria Appunto, with a text by Cesare Vivaldi.
Also in '59 he was called by Corrado Cagli to realize the stage sets for the Misanthrope by Menander , represented at the Olimpico in Vicenza, directed by Luigi Squarzina.
1960-1969
After the informal period, some young artists from different experiences (Pietro Cascella , Piero Dorazio , Gino Marotta, Fabio Mauri , Gastone Novelli , Achille Perilli , Mimmo Rotella, Giulio Turcato ) founded the Group CRACK, with the intent to propose a new version of neodadaisme and the rediscovery of futurist tradition.
With these works in '57- '58, together with Burri, Fontana, Capogrossi , Balthus , Licini and Léger, he is already performing in international exhibitions such as Pittori d’oggi Francia-Italia in Turin , Modern Italiensk Maleri in Copenhagen and many other international events .
In 1958 he was among the artists invited by Marco Valsecchi to the exhibition Giovani artisti italiani . Il Giorno, at the Permanente in Milan and by Lionello Venturi at the show Nuove tendenze dell’arte italiana, at the Rome- New York Art Foundation, in Rome.
His search leads him to realize first Allumini (Aluminums), thin aluminum sheets welded, and later, Bandoni, iron sheets found and removed from abandoned shacks, that keep popular images layered in time, such as provocative female figures, advertising of sewing machines, various writings and many other images. Marotta just assembles them, making a neo-Dadaist operation. The Bandoni will be exhibited in Milan in 1959 at the Galleria dell’Ariete, presented by Gillo Dorfles and later in Rome, at the Galleria Appunto, with a text by Cesare Vivaldi.
Also in '59 he was called by Corrado Cagli to realize the stage sets for the Misanthrope by Menander , represented at the Olimpico in Vicenza, directed by Luigi Squarzina.
1960-1969
After the informal period, some young artists from different experiences (Pietro Cascella , Piero Dorazio , Gino Marotta, Fabio Mauri , Gastone Novelli , Achille Perilli , Mimmo Rotella, Giulio Turcato ) founded the Group CRACK, with the intent to propose a new version of neodadaisme and the rediscovery of futurist tradition.
In the laboratories of the chemical and foundry industries, Marotta
experimented with new materials such as polyurethanes and polyesters and
created sculptures using industrial processes for the mass production.
Marotta’s works of the early sixties
were exhibited in '64 at the Thirteenth Triennial of Milan and in Rome at the
Galleria Anthea, in a solo show, with a text, Anatomia Ginomarotta, by Emilio Villa. The next year, we can find
them at
the Nona Quadriennale nazionale
d’Arte, Palazzo delle Esposizioni
in Rome and in the one man show 10
Sculptures, at the Galleria dell’Ariete
in Milan, presented by Giorgio Soavi .
In the first half of the decade, he performs various architectural
interventions, including decorations for the front of the Synagogue in
Livorno, and in the Palazzo della RAI in Rome, Viale Mazzini, he realizes metal ceiling decorations and
bas-reliefs in cast bronze.
His vocation to the use of new materials goes on in the sculptures cut in methacrylate, which will become Environment. Just think of the Bosco Naturale-Artificiale (1967), of Nuovo Paradiso (1968) and Eden Artificiale ( 1969), to be seen not only in the extraordinary Lo Spazio dell’Immagine, (Space of the Image) in Foligno ( 1967), but also at the IX Bienal de São Paulo do Brasil (1967), at the Exhibition of Contemporary Italian art, National Museum of Modern art in Tokyo, at the Universal Exposition in Montreal ( 1967), the exhibition 4 Artistes Italiens plus que Nature, Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre in Paris, with Ceroli , Pascali and Kounellis (1969) and at the Galleria de Nieubourg in Milan (1969).
At the Teatro delle Mostre (1968), GalleriaLa Tartaruga
in Rome, he exhibits the installation Foresta
di Menta (Forest of mint) an environment multisensory work, with, a long
series of green threads made from plastic materials that give the suggestion
of hanging vines , placed in a minted fragrant atmosphere. In the same year , during the three days of Arte Povera + Azioni Povere, an event
organized by Celant in Amalfi, he participates with Giardino all’italiana (Italian Garden), an urban intervention with
an array of straw bales. In May 1968 he was invited to exhibit at the XIV Triennale of Milan.
His vocation to the use of new materials goes on in the sculptures cut in methacrylate, which will become Environment. Just think of the Bosco Naturale-Artificiale (1967), of Nuovo Paradiso (1968) and Eden Artificiale ( 1969), to be seen not only in the extraordinary Lo Spazio dell’Immagine, (Space of the Image) in Foligno ( 1967), but also at the IX Bienal de São Paulo do Brasil (1967), at the Exhibition of Contemporary Italian art, National Museum of Modern art in Tokyo, at the Universal Exposition in Montreal ( 1967), the exhibition 4 Artistes Italiens plus que Nature, Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre in Paris, with Ceroli , Pascali and Kounellis (1969) and at the Galleria de Nieubourg in Milan (1969).
At the Teatro delle Mostre (1968), Galleria
In this period, he creates many trees,
a complex artificial zoology in methacrylate and environment-works such as Mare artificiale (Artificial Sea) and Pioggia artificiale (Artificial Rain) in
1969.
Friend of poets such as Ungaretti and Cardarelli, he creates precious books with Emilio Villa, Giorgio Soavi and Antonio Delfini
Friend of poets such as Ungaretti and Cardarelli, he creates precious books with Emilio Villa, Giorgio Soavi and Antonio Delfini
In the first half of the decade he continues the creation of works in methacrylate and plastic materials which later he will abandon for more than twenty years.
In January, he exhibits a solo show Il giardino
all’italiana (The Italian Garden),
at the Modern Art Agency of Naples , presented by Achille Bonito Oliva
with the text L’animazione del falso
reale.
Marotta has actively participated and contributed to the creation of some of the most interesting contemporary Italian exhibits: in addition to the aforementioned Lo Spazio dell’immagine (The Space of the Image), 1967, we must remember also Amore Mio (1970) in Montepulciano and Vitalità del negativo (Vitality of the Negative) at the Palazzo delle Esposizioni, in Rome ( 1970 - 71), where he exhibited alongside the installations of the previous decade the work - environment Misura naturale cava ( Hollow natural measure) in fiberglass, a large cube in which the viewer discovers the negative mark of a tree.
With the exhibition Amore mio (My Love), Marotta reveals a research begun in the late sixties where industrial enamels, acid and violent colors on galvanized or oxidized metal sheets and methacrylate sheets illustrate his loves in the History of Art, from Ingres to Titian, from Cranach to Hayez , or provocative pin-ups from magazines. In the methacrylate boxes, figures reveal different types of materials, from cardboard to feathers, from aluminum foil to popular fabrics. All this reveals on the one hand the love of Marotta for the great painting, and on the other a vein of irony which constantly accompanies his research.
In 1971 he participated in the exhibitions Elf Italiener Heute at the Museum am Ostwall in Dortmund and Multiples The First Decade at the Museum of Modern Art in Philadelphia.
In 1972 he was invited to the X Quadrenniale d’Arte Palazzo delle esposizioni in Rome, where he exhibited the installation Introduzione generale alla natura (General Introduction to the nature) and Italy The New Domestic Landscape , MoMA, New York.
He worked for the cinema and the avant-garde theater, in the creation of images, scenes and costumes for Salomè (1972) and of the set design for Nostra Signora dei turchi, (Our Lady of the Turks) by Carmelo Bene (1972).
Marotta has actively participated and contributed to the creation of some of the most interesting contemporary Italian exhibits: in addition to the aforementioned Lo Spazio dell’immagine (The Space of the Image), 1967, we must remember also Amore Mio (1970) in Montepulciano and Vitalità del negativo (Vitality of the Negative) at the Palazzo delle Esposizioni, in Rome ( 1970 - 71), where he exhibited alongside the installations of the previous decade the work - environment Misura naturale cava ( Hollow natural measure) in fiberglass, a large cube in which the viewer discovers the negative mark of a tree.
With the exhibition Amore mio (My Love), Marotta reveals a research begun in the late sixties where industrial enamels, acid and violent colors on galvanized or oxidized metal sheets and methacrylate sheets illustrate his loves in the History of Art, from Ingres to Titian, from Cranach to Hayez , or provocative pin-ups from magazines. In the methacrylate boxes, figures reveal different types of materials, from cardboard to feathers, from aluminum foil to popular fabrics. All this reveals on the one hand the love of Marotta for the great painting, and on the other a vein of irony which constantly accompanies his research.
In 1971 he participated in the exhibitions Elf Italiener Heute at the Museum am Ostwall in Dortmund and Multiples The First Decade at the Museum of Modern Art in Philadelphia.
In 1972 he was invited to the X Quadrenniale d’Arte Palazzo delle esposizioni in Rome, where he exhibited the installation Introduzione generale alla natura (General Introduction to the nature) and Italy The New Domestic Landscape , MoMA, New York.
He worked for the cinema and the avant-garde theater, in the creation of images, scenes and costumes for Salomè (1972) and of the set design for Nostra Signora dei turchi, (Our Lady of the Turks) by Carmelo Bene (1972).
A major retrospective at the Rotonda della Besana in Milan dates back to
1973, as well as his participation in the XII Biennial Middelheim in Antwerp
and Eden artificiale, in the Gardens of the XV Triennale di Milano,
in the section Contatto Arte-Città,
alongside the interventions by Arman, Burri, de Chirico Hundertwasser, Matta and others.
In 1977, his one man show Rilievi (Reliefs) at the Academy of Arts
and Design in Florence , where he is Teaching Professor, with the presentation
of Rodolfo Siviero , exposes a research started in 1974, an operation due to a
study on language: I Rilievi, virtual
anamorphic images that appear on a wooden structure.
1980-1989
In the eighties, the abandonment of plastic and industrial materials to go back to more 'traditional materials' ( marble, bronze, oil painting ... ) does not take his mind off from his rigorous research on language and on incidence of the light even in paintings.
In 1981 he made L’Albero della Vita, (The Tree of Life), a sculpture more than three meters high in Roman travertine and onyx, meant for Lignano Sabbiadoro. "Nothing more than a tree, from the origins of human thought, has established itself as a metaphor and as a symbol, a symbol of life in its differentiation with respect to time and space, a symbol of life as a differentiation of the earth, ‘vertical axis' opposed to the horizontality of the horizon’ '' ... "said Paolo Portoghesi in the presentation of the work.
In the eighties, the abandonment of plastic and industrial materials to go back to more 'traditional materials' ( marble, bronze, oil painting ... ) does not take his mind off from his rigorous research on language and on incidence of the light even in paintings.
In 1981 he made L’Albero della Vita, (The Tree of Life), a sculpture more than three meters high in Roman travertine and onyx, meant for Lignano Sabbiadoro. "Nothing more than a tree, from the origins of human thought, has established itself as a metaphor and as a symbol, a symbol of life in its differentiation with respect to time and space, a symbol of life as a differentiation of the earth, ‘vertical axis' opposed to the horizontality of the horizon’ '' ... "said Paolo Portoghesi in the presentation of the work.
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