giovedì 26 febbraio 2015

TSIPRAS E VAROUFAKIS SONO TORNATI ALLA CASELLA DI PARTENZA

Campobasso, 26 febbraio 2015
Dopo il loro tour europeo il problema si è spostato solo in avanti di quattro mesi









di Marco Boleo


I furbetti del Partenone: Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, rispettivamente, Primo Ministro e Ministro dell'Economia del Governo Greco, sono tornati alla casella di partenza dopo il loro tour europeo. Hanno vinto le elezioni con un programma populista ed ora si vedono costretti a rimangiarsi parte delle promesse elettorali (lo avevamo facilmente previsto) cercando di salvare la faccia con degli artifici semantici. Avrebbero strappato il memorandum firmato con la Troika e non avrebbero più avuto a che fare con essa. Ora trattano con le “tre istituzioni” alla ricerca di un “accordo ponte”. Nel frattempo si è perso solo del tempo ahimè molto utile e chi ha potuto nel frattempo ha portato i capitali all’estero. I problemi della loro nazione non si risolvono d'incanto con una sorta di “deus ex machina” calato dall’alto come avviene nella tragedia greca oppure con l’arte del ricatto. Nel paese ellenico parte della popolazione ha vissuto benissimo ed un'altra meno bene, col conto pagato prima dagli investitori stranieri, che ci hanno rimesso un bel po’ di risorse finanziarie e poi da tutti gli altri membri dell'Eurozona. Noi italiani abbiamo in ballo circa 40 miliardi di euro che abbiamo prestato più eventuali saldi degli aiuti a carico della Banca Centrale Europea di cui possediamo il 17% del capitale. I salari, gli stipendi e le pensioni di un paese che ha un Pil pro-capite del 60% di quello della Germania devono essere in media pari alla stessa percentuale di quelli tedeschi. Altrimenti si vive al di sopra delle proprie possibilità.
Nel loro tour europeo i furbetti avevano lasciato intendere, nella chiara sintesi di Anatole Kaletsky, di : (1) voler ripudiare in tutto o in parte il debito pubblico residuo, (2) rimanere nell'euro e, (3) aumentare la spesa pubblica per finanziare il programma umanitario senza aumentare le imposte (questo il significato di "fine dell'austerità" asse del loro programma). Il problema è che le tre richieste messe insieme sono tra loro incompatibili. Aumentare la spesa pubblica lasciando invariate le entrate (punto 3) significa azzerare l’avanzo primario faticosamente raggiunto dal deficit pubblico greco. Ottimo! Ma per fare il deficit spending keynesiano occorre trovare qualcuno che sia disposto a prestarti dei soldi o che tu possa stampare moneta. La monetizzazione del deficit, infatti, è incompatibile col continuare ad avere l’euro mentre il ripudio del debito rende impossibile finanziarsi sul mercato dei capitali. Se ripudi il debito e rimani nell'euro non puoi fare deficit addizionali e devi rendere ancora più stringenti le politiche di bilancio. Altro che fine dell’austerità. Questo perché nessun risparmiatore, residente o non residente, presterebbe più un centesimo al governo greco. Nel caso si continuasse ad adottare l’euro non si potrebbe d’altro canto pretendere che Draghi finanzi il deficit greco stampando euro solo per il paese ellenico e non per gli altri. Si pensi alla Spagna, al Portogallo ed all’Italia.
Ricapitolando. La fine dell’austerità (punto 3) non consente di continuare ad adottare l’euro (punto 2). Nel caso si rinunciasse all’euro converrebbe anche ripudiare il debito (punto 1) e finanziarsi emettendo moneta nazionale. Alla fine i furbetti l’hanno capita e sono scesi a miti consigli provocando come era da prevedere reazioni all’interno del loro partito e da parte di coloro che li hanno votati. Visto che il negoziato all’Eurogruppo si è concluso con un nulla di fatto rispetto alle loro richieste con la riaffermazione del programma politico-economico già fissato per Atene il governo Tsipras ha dovuto inviare alla Commissione una lista di riforme. Questo ha di nuovo spostato il fronte politico greco da Bruxelles ad Atene.
La “shopping list” delle riforme è arrivata di buon ora stamattina a Bruxelles e contiene le linee guida per le riforme da affrontare nei prossimi mesi ma, come prassi consolidata, sono assenti le cifre degli interventi. O meglio non v’è certezza su di esse. Da indiscrezioni trapelate si parla di 2,5 miliardi di euro derivanti dalle tasse sui grandi patrimoni e agli oligarchi, di altri 2,5 miliardi di euro legati al recupero dell’evasione fiscale e 2,3 miliardi dalla lotta al contrabbando di benzina e sigarette. Buone intenzioni da mettere in pratica. La lista è la condizione necessaria ma non sufficiente per concedere il prolungamento dei prestiti per quattro mesi. I furbetti del Partenone stanno cercando un compromesso tra le facili promesse fatte in campagna elettorale e la dura realtà degli impegni vincolanti. E’ notizia di questi momenti che l’Eurogruppo ha tenuto conto del «primo punto di vista» delle Tre Istituzioni (della Troika) (Fmi, Bce e Ue) sulla lista di riforme presentata dal governo greco e considera “questo elenco di misure un punto di partenza valido per una positiva conclusione del riesame”. Questo recita il comunicato congiunto dell’Eurogruppo riunitosi oggi in teleconferenza. Comunque, hanno tenuto a precisare i ministri delle Finanze dell’eurozona che hanno chiesto al Governo Greco “di sviluppare ulteriormente e ampliare l’elenco delle misure di riforma, in base alla disposizione attuale, in stretto coordinamento con le istituzioni al fine di consentire una conclusione rapida e positiva della revisione”. L’Eurogruppo ha altresì precisato che un ulteriore esame da parte delle istituzioni al piano di riforme avverrà “al più tardi entro la fine di aprile”. Potrebbe essere tardi visto che a marzo Atene ha immediatamente bisogno di circa 7.2 miliardi di euro tra titoli a breve del debito pubblico in scadenza e cedole e le casse sono esauste. Per ora si è spostato solo il problema in avanti di quattro mesi.
L’uscita della Grecia dall’euro come auspicato da alcuni commentatori non ci pare una soluzione fattibile, per le ragioni legali, tecniche ed economiche più volte richiamate tra gli altri da Luigi Spaventa e da Barry Eichengreen. Visto che se ne prospetta una vita grama e infelice, nella consapevolezza che, così com’è attualmente l’Unione monetaria, stiamo male dentro e staremo male fuori. Per ridurre le tensioni della convivenza, e tornare ad una vita in comune meno grama servirebbe, come scriveva nel novembre del 2010 il compianto Luigi Spaventa, “una iniziativa politica per rifondare e rinsaldare l’Unione monetaria (…), si tratta di disegnare oggi un piano organico di sostegno ai paesi in difficoltà; e di prevedere per domani uno sviluppo istituzionale dell’Unione, la cui mancanza è stata la causa principale di instabilità”.

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