lunedì 15 dicembre 2014

IL MOVIMENTO DELLA “TERZA VIA”

Campobasso, 15 dicembre 2014


 di Marco Boleo











Una ricetta che oggi da sola non basta più

Si torna a discutere sulla stampa e sui blog italiani dei possibili intrecci tra Stato e mercato. Questa volta ad accendere il dibattito sono state alcune dichiarazioni di personaggi politici di primo piano di ieri e di oggi (Tony Blair, Bill Clinton, Matteo Renzi e Manuel Valls), raccolte dal magazine “IL” de Il Sole 24 Ore, in occasione della ricorrenza dell'anniversario della Conferenza Mondiale di Firenze che quindici anni fa ha contribuito a cambiare gli indirizzi programmatici della sinistra mondiale. Nel novembre del 1999, infatti,  si ritrovarono a discutere nel capoluogo fiorentino i leader della sinistra moderna e liberale di allora guidati dall’inglese Tony Blair e dall’americano Bill Clinton.In quella occasione  venne lanciato, per il nuovo millennio alle porte, il movimento della “Terza via” che doveva costituire un’alternativa concreta sia al liberalismo capitalista classico e sia alla socialdemocrazia. Doveva essere insomma qualcosa di diverso e distinto dal capitalismo liberale, con la sua fiducia incondizionata ai meriti e alle qualità positive del libero mercato, e dal socialismo democratico, con la sua fissazione per l'intervento dello Stato nell’economia al fine di correggere “i fallimenti del mercato”. Tony Blair ha riassunto bene cosa è accaduto nel secolo breve: “Il Ventesimo secolo aveva rivelato come, senza la capacità da parte dello Stato di garantire alcune protezioni fondamentali e di provvedere a servizi base per i cittadini, non potesse affermarsi una società più giusta”. L’obiettivo dei Governi è stato quindi quello di “tassare in modo equo e spendere per perseguire la giustizia sociale” gettando le basi per un sistema di welfare state. “Tuttavia, con il passare del tempo, (...) divenne evidente come lo Stato potesse anche abusare del potere, potesse spendere in modo poco avveduto e potesse rivelarsi un intreccio di interessi particolari di ostacolo al necessario cambiamento. Per curare “i fallimenti del mercato” si passò “ai fallimenti dello Stato” che avvengono quando un intervento governativo causa un'allocazione dei beni e delle risorse più inefficiente di quanto lo sarebbe stata in assenza di siffatto intervento. Secondo Tony Blair va ricercato, quindi, a maggior ragione oggi “un equilibrio tra un settore privato prospero e un settore pubblico efficiente e competente, capace di fornire servizi di qualità ai cittadini e protezione sociale a chi è più vulnerabile.”Oggi però la ricetta della “terza via” da sola non basta più e questo hanno tenuto a sottolinearlo Matteo Renzi e Manuel Valls, ovvero, i due giovani Primi Ministri che si trovano oggi a governare, rispettivamente, l’Italia e la Francia. La lezione della terza via e le conquiste che ne seguirono, secondo Renzi, valgono ancora oggi però a suo avviso non sono più sufficienti a far fronte ai grandi mutamenti della globalizzazione. Oggi serve una nuova bussola per orientarsi nella gestione del cambiamento ed avere in tasca quella della “terza via”, per Renzi, potrebbe rivelarsi controproducente visto che potrebbe indicarci la direzione sbagliata. E deve essere “costruita dalle passioni e dalle intelligenze del presente e ispirata dai bisogni reali che richiamano il nostro impegno” altrimenti si rischia di perdere la rotta. Martin Walls da parte sua ci ricorda che a rompere gli equilibri auspicati e perseguiti dalla “terza via” sono intervenute tre grandi fratture: “la crisi economica e finanziaria del 2008-2009, l'avanzata dei Paesi emergenti e la gravità della crisi europea che fa tremare le fondamenta del progetto unitario. È sulla base di questa triplice posta in gioco che si devono definire le nuove frontiere del riformismo.”  “Per uscire dall'attuale situazione - ad avviso di Walls - esistono tre strumenti d'azione: la politica monetaria, la politica fiscale e le riforme strutturali. Ma l'articolazione di questi tre strumenti resta poco soddisfacente [e bisognerebbe] avanzare con lo stesso passo sui tre fronti.” In un prossimo articolo le reazioni che questo dibattito ha provocato in Italia.

Gli interventi su 'La Terza Via' dei governanti di ieri e di oggi

Dopo la pubblicazione sul magazine "IL" de Il Sole 24 Ore di interventi su "La Terza Via" da parte di governanti di primo piano di ieri e di oggi, di cui ci siamo occupati nel precedente articolo, ne è scaturito un nutrito dibattito del quale cercheremo di riportare solo i tratti salienti. Il primo ad essere chiamato in causa è stato Massimo D'Alema, Primo Ministro in carica in Italia quando ci fu la Conferenza Mondiale di Firenze. Dalle pagine del Corsera rispondendo alle domande di un giornalista ha subito tagliato corto dicendo che: "Il tentativo promosso alla fine degli anni Novanta da Tony Blair e da parte del mondo progressista di coniugare il socialismo con una visione liberale non ha nessun valore." A suo avviso la Terza Via deve essere vista come il tentativo di sintesi tra socialismo e liberalismo. Le cose però non stanno proprio così. La nuova visione, se così possiamo chiamarla, scaturita allora era invece uno sforzo attuato dalla sinistra di ricercare un nuovo approccio ancorato né al socialismo e né alla semplice logica di mercato per far fronte alle sfide che lanciava la terza fase della globalizzazione. Fino a quel momento la via intermedia percorsa tra il capitalismo di mercato e l'economia pianificata era stata la socialdemocrazia europea. Bisognava andare oltre ed il Presidente Clinton ed il Primo Ministro Blair ci riuscirono facendo anche proselitismo.
E’ Michele Salvati sempre sul Corsera che, a nostro avviso, riesce ad inquadrare bene la questione. Scrivendo che è utile anche oggi un “necessario compromesso tra capitalismo e assetto politico liberale da una parte e democrazia, eguaglianza di opportunità, benessere per i ceti più disagiati” visto che in Europa stanno prevalendo “i precetti del liberismo più estremo e di un rampante populismo di destra”. Esistono, a suo avviso, tante “Terze vie” che possono essere percorse tutto dipende dalle scelte passate che hanno compiuto i Governi visto che quest’ultime condizionano molto quelle odierne. Il caso più emblematico è quello dell’Italia visto che “il fardello che si porta appresso (…) è particolarmente pesante e il compromesso rischia di essere più sfavorevole ai ceti popolari che in altri Paesi più efficienti e meglio governati del nostro. Sulla scia di Salvati si colloca anche Michele Magno che fa notare a D’Alema che la sua analisi “omette di ricordare che, se il liberismo ha fatto certamente molti guasti, keynesismo nazionale e modello distributivo socialdemocratico hanno esaurito da almeno un trentennio la loro carica propulsiva”. Per questo nessuno dei partecipanti al dibattito si è sentito di condividere l’affermazione di D’Alema che “la crisi di oggi ha radici nella debolezza della politica e dell’azione pubblica, sia a livello europeo sia nazionale. E non si può uscirne senza politiche in grado di promuovere gli investimenti, anche pubblici. Altro che meno Stato”. D’Alema ritiene insomma che oggi vi sia la necessità di spostare di nuovo il pendolo verso lo Stato e cita a sostegno della sua tesi (per noi a sproposito) il pensiero di economisti quali Joseph Stiglitz, Thomas Piketty, Paul Krugman e Marianna Mazzuccato; con quest’ultima che insiste sulla necessità di riscoprire il ruolo dello Stato come forza propulsiva dello sviluppo attraverso il sostegno all’innovazione. “Quelli che invocano la Terza Via, ad avviso di D’Alema, sembra abbiano saltato le letture degli ultimi 10 anni, ammesso che avessero fatto quelle precedenti”. Anche noi abbiamo una lettura che ci sentiamo di consigliargli ed è “Government versus Markets. The Changing Role of the State” di Vito Tanzi. Ci ritorneremo alla fine.Luciano Pellicani non ha mancato di fargli notare che paesi che hanno percorso la “Terza Via” quali “Svezia, Danimarca e parzialmente (...) Germania. [Sono] realtà che si sono trovate protette rispetto alla violenta crisi proveniente da Oltreoceano. Mentre il resto d’Europa a partire dall’Italia è stato coinvolto duramente per aver consumato più di quanto avesse prodotto”. Oscar Giannino, invece, lo ha invitato a riflettere sui comportamenti del nostro Stato nell’economia che è molto diverso da quello che si trova nei libri di economia pubblica. “Lo Stato è [ad esempio] quello delle 10 mila partecipate pubbliche locali per tre quarti in perdita, che né destra né sinistra né Renzi toccano, perché sono imbottite di uomini dei partiti nei Consigli di Amministrazione. Lo Stato è quello che in questi anni ha tagliato la spesa per investimenti (…), pur di non toccare l’aumento della spesa corrente che fa voti e consensi”. Troppo facile come fanno in molti oggi a dire che serve più Stato. Il ruolo dello stato nell’economia, ad avviso di Vito Tanzi, va ridisegnato con una strategia di aggiustamento di lungo periodo attraverso una rimodulazione del mix di spesa pubblica e tassazione. Le imposte possono essere ridotte rapidamente mentre la spesa può esserlo nel medio periodo. Bisognerebbe combinare una migliore regolazione dei mercati, in particolare di quelli assicurativi, sanitari, educativi e finanziari, con una buona dose di “paternalismo libertario” e con la dovuta attenzione alle esigenze dei meno abbienti.
* Da Europa Popolare




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