domenica 24 novembre 2019

COSA SI CELA SOTTO LA CAMPOBASSO DI UN TEMPO?

Campobasso,24 novembre 2019

Prendiamo spunto da una recentissima visita a quello che potremmo definire il mondo della terra di sotto. Il quale, permette alla città capoluogo della ventesima regione dello stivale di affiancarsi senza alcun timore ad altre realtà molto più blasonate della nostra.
Di Massimo Dalla Torre


Ebbene si Campobasso, o Campi bassi, Campus Vassorum e in dialetto Campuasc’ cela sotto il manto stradale veri e propri tesori. Testimonianze di un passato che affonda le radici nella storia e nel tempo. Un mondo che, affascina, anzi affattura, come direbbero i popolani veri e propri eredi di quello che è stata per secoli la città.
La quale, preserva e conserva testimonianze importanti come: pezzi di mura perimetrali di antichi bastioni, torrette di scolta, carceri, camminamenti usati per rifugiarsi da eventuali attacchi del nemico e chiese dove il silenzio e il misticismo non guastano, anzi favoriscono la meditazione e l’interesse clerical-culturale. E proprio grazie alla  visita ci è venuto in mente un titolo per queste poche considerazioni basate non solo sulla curiosità ma sull’affezione alla ex città giardino: Cosa si cela sotto Campobasso di un tempo? Un viaggio  che molti farebbero bene a fare di persona anche se a causa distonie del sistema non è possibile se non in parte. Una situazione che sotto certi aspetti ha del grottesco e dell’assurdo perché, ancora una volta, dobbiamo costatare che le iniziative che potrebbero attrarre turisti e risveglio economico tanto da rivitalizzare la città che, causa l’inerzia e l’apatia, non diciamo di chi, anche se lo sappiamo benissimo, fanno sprofondare Campobasso ancora di più nell'oblio e nell'anonimato tanto da essere appellato "sonnacchioso". Un aggettivo che, però, non ci sentiamo di avvallare perché Campobasso può offrire a chi arriva anche da fuori regione uno spaccato di vita-storia. Di come la città è abbandonata a stessa non c'è giorno che non se ne parli, specialmente se oggetto del "chiacchiericcio" che finisce in cronaca, è il centro storico di cui spesso abbiamo scritto. 
Una parte nevralgica rivitalizzata grazie al Prof. Roberto Colella e il tipografo Minichetti che hanno aperto le porte di alcune “cantine” si fa per dire cantine, che nascondono veri e propri tesori geologici, archeologici e architettonici, come l’antico accesso di un convento benedettino del 1200 con un soffitto a volta a crociera che, nella parte centrale, presenta una grata, molto probabilmente dava la luce al romitorio che affacciava su qualche strada a noi sconosciuta e ancora da scavare, oppure contrafforti che perimetrano il primo selciato della città il cui signore era Cola Monforte, situato a molti metri sotto l’attuale calpestio; scale e inizi di camminamenti che mettevano in connessione tutta una serie di luoghi ancora celati. 
Testimonianze che molti c'invidierebbero perché sono la personificazione dell'animus dei “Campuascian” usiamo il vernacolo per rendere meglio l’dea. Luoghi che, se potessero, in parte lo fanno grazie agli studiosi e ai cultori della storia locale, racconterebbero quello che è stato il trascorso, tant'è che nel corso della visita sono venute fuori curiosità e aneddoti legati anche al secondo conflitto mondiale che cambio persino la toponomastica cittadina con nomi di località come Hyde Park, Skart Street, Piccadilly, ecc… Storie che permettono alle nebbie di diradarsi per rivitalizzare la campobassanità e le bellezze che molti ignorano. Una riscoperta che si valorizza soprattutto quando si scende, nei sotterranei, o vuttar in dialetto, bottai, dalle botti conservate in Italiano, dei palazzi che sorgono lungo Via Orefici, via Cannavina, Largo San Leonardo, Via Ziccardi, Via Sant'Antonio Abate, Porta San Paolo, Porta Mancina e zone limitrofe senza contare la cinta muraria prospiciente i bastioni del castello Monforte con le chiese di San Bartolomeo e di San Giorgio. 
Un percorso che, si dipana in tanti rivoli, come un torrente che svanisce nelle viscere della terra. Una sorta di dedalo che porta a rivivere amori, disagio, soprusi, povertà, laboriosità, violenza e mistero. Cose che, sono il fil-rouge di un cammino che fa riscoprire la città vera e non quella posticcia, raffazzonata e arruffona. Aggettivi azzardosi che però, nonostante tutto ci permettono di scrivere il finale dell’articolo che, tra il romanzato e l’affettivo, è senza alcun ombra di dubbio anacronistico per i tempi che corrono…o forse non lo è?













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