“Monongah: dal fatto al simbolo”
Ugl, convegno a Campobasso
52 FOTO DELL'EVENTO |
“Monongah:
dal fatto al simbolo”. Questo il titolo del convegno, svoltosi con inizio alle ore 10:00, nella sala della Costituzione dell’Ente
provinciale di Campobasso, organizzato dall’Ugl per ricordare la tragedia
mineraria di Monongah avvenuta proprio il 6 dicembre del 1907 e nella quale
persero la vita centinaia di minatori italiani.
Le conclusioni dell’incontro affidate al segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella.
“Questa
tragedia - spiega il segretario confederale dell’Ugl, Geremia Mancini,
promotore dell’evento -, causò la
morte di quasi 400 minatori ufficiali, ma alcune fonti arrivano a raddoppiarne
i numeri, molti dei quali italiani, per la maggioranza molisani. E’ una vicenda
che merita rispetto ed attenzione e va attualizzata per far comprendere
l’importanza della sicurezza e della dignità del lavoro”.
MONONGAH 6 DICEMBRE 1907
UNA FATALE MATTINATA
La più grande strage mineraria americana si consumò alle ore
10 del mattino del 6 dicembre del 1907. Una tragedia nella quale,
ufficialmente, morirono 171 lavoratori arrivati dal Sud del nostro Paese.
Molti, molti di più, invece, secondo stime recenti.
La miniera è proprio all'ingresso di
Monongah, un paese fantasma della provincia americana, situato nel nord del
West Virginia, meta disperata dell'immigrazione dell'inizio del secolo scorso.
Qui si verificano una serie di violente esplosioni sotterranee.
Le viscere della terra tremano e ingoiano
centinaia e centinaia di operai. Tante le croci senza nome con su scritto ''qui
giace un eroe''.
Il giorno prima la cittadina e il circondario, oltre 3.000
persone, hanno celebrato la festa di San Nicola alla parrocchia italiana della Madonna
di Pompei e a quella polacca di San Stanislao. La sirena della miniera ha
chiamato 500 minatori, un benvenuto appello al lavoro in vista di Natale.
Sul West Virginia Times , il giornale dello Stato, Thomas Koon ha ricostruito la fatale
mattinata. La miniera è un modello, è dotata di macchine elettriche per il
taglio del carbone, di ventilatori per l'aspirazione meccanica, e di mini
locomotive per la ferrovia sotterranea che collega i pozzi, ma il lavoro è
molto duro e rischioso.
La mattina del 6 dicembre 1907 i minatori
italiani, polacchi, slavi e turchi, si apprestavano a recarsi al lavoro. Faceva
un gran freddo perché arrivava un vento gelido dai vicini Monti Appalachi (che
prima dell’arrivo dei bianchi erano abitati da tribù indiane: infatti Monongah
altro non significa in antico dialetto indiano che “lupo”) e tra i moltissimi minatori che erano
pronti a scendere nelle gallerie c’era un numero considerevole di clandestini,
cioè lavoratori non ufficialmente registrati. Tra questi ultimi molti erano
ragazzi, detti “raccoglitori di ardesia o ragazzi dell’interruttore”. Alle 7 del mattino, secondo
la testimonianza di L. Malone, direttore delle gallerie 6 e 8, al “Fairmont
Times”, erano entrati 478 minatori e un centinaio di operai addetti ai
muli, alle pompe e ad altre attività.
Tra le 10.20 e le 10.28, dentro e fuori le
miniere 6 e 8 si scatenò l’inferno: esplosioni di violenza inaudita si
scatenarono provocando un vero e proprio terremoto che scosse la terra sino a 12 Km di distanza. Un misto
di polvere di carbone e gas metano trasformò i due tunnel in una immensa camera
ardente.
Un primo conteggio ufficiale stabilì il numero delle vittime in 361
uomini e ragazzi, 171 dei quali certamente italiani. Si trattò, secondo anche quanto
hanno affermato i giornali dell’epoca, della più grande tragedia mineraria
della storia degli Stati Uniti.
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